mercoledì 15 agosto 2007

A proposito di paesi civili

Due tra i miei paesi preferiti (???), Gli Stati Uniti e l’Iran, fanno ancora parlare di sé.
Nel pacifico paese iraniano governato dal barzellettiere Mahmud Ahmadinejad (la sua battuta più famosa è: “L’olocausto non è mai esistito”) nelle ultime settimane c’è stata una incredibile escalation di esecuzioni. E’ superfluo ricordare che nel civilissimo Iran la condanna a morte è legale e ampiamente praticata, e che gli omicidi (pardon, le esecuzioni) avvengono per impiccagione in pubblica piazza. Ogni tanto, nel silenzio generale, c’è qualcuno che alza la mano – come faceva il timido studente sui banchi della scuola elementare – per chiedere il permesso di parlare; per dire che, forse, uccidere sette-otto esseri umani al giorno è un tantino esagerato e, forse, bisognerebbe dare una ridimensionata a questa abitudine quanto meno discutibile, soprattutto se le immagini delle impiccagioni fanno il giro del mondo rischiando di impressionare i nostri cari bambini occidentali traumatizzabili. Incredibile ma vero, a parlare questa volta è stato il governo italiano, che ha espresso “forti inquietudini” sull’escalation di condanne nel paese arabo.
La risposta del barzellettiere non si è fatta attendere. Il comunicato da Teheran recitava così: “Ogni paese indipendente combatte il crimine secondo le sue leggi, e ogni interferenza in questo campo è un’interferenza negli affari interni di un paese.” Insomma, fatevi gli affari vostri e lasciateci ammazzare in pace tutti quelli che vogliamo ammazzare.
Personalmente manderei a quel paese (che non è l’Iran) il barzellettiere e i suoi affari interni…

E passiamo ora all’altro civilissimo paese (in cui, manco a dirlo, è praticata la pena di morte). L’incommensurabile George W. gongola di felicità dopo che il Congresso ha approvato una legge che rende più “difficile” l’ingresso negli Stati Uniti.
L’idea del geniaccio texano è semplice: per evitare nuovi attacchi terroristici al paese, basta chiuderci dentro, come i cowboys nel fortino assediato dagli indiani. Se nessuno riesce ad entrare, chi ci potrà fare del male? La legge approvata è un primo passo per la realizzazione della Grande Idea, rendere gli Stati Uniti un paese chiuso, un eden in cui può vivere solo chi è nato e cresciuto yankee, a pane e Super Bowl, e tutti gli altri possono stare alla larga, dai cugini canadesi agli altezzosi europei, dai visi pallidi australiani ai mandarini cinesi, dai neri dello Zambia agli amiconi arabi.
La legge, in poche parole, rende più difficile ottenere i visti d’ingresso negli Stati Uniti, anche quelli turistici. A partire dal 2008, grazie a un rigoroso sistema elettronico, il viaggiatore che incautamente vuole avventurarsi nella terra di Abramo Lincoln e John Wayne dovrà chiedere l’autorizzazione all’ingresso negli USA precisando in dettaglio date e tappe del suo viaggio. La normativa concede al governo americano il potere di non concedere il visto a chi sia ritenuto in qualche modo sospetto.
Vi rendete conto? Sono finiti i bei tempi in cui si partiva all’avventura, decidendo di giorno in giorno le tappe di un viaggio, esplorando guidati dal caso e dall’istinto un paese straniero. Andare negli Stati Uniti da oggi vi costerà almeno un mese di preparativi. Dovrete stabilire nel dettaglio tutto: i giorni e i luoghi di permanenza, quali mezzi di trasporto prendere e a che ora prenderli, quali città visitare e in che giorno visitarle. E se per caso doveste imbattervi in un contrattempo qualsiasi, o decideste per un qualsiasi motivo di volervi recare a Boston anziché a Chicago il venerdì mattina, guai a voi! CIA, FBI, POLIZIA ed ESERCITO vi bloccherebbero all’aeroporto rispedendovi a calci nel sedere nel paese ostile da cui provenite.

Ve l’immaginate la scena? Voi siete lì, tranquilli tranquilli in aeroporto, in bermuda e infradito, quando piomba sul posto un’armata di marines cazzuti col mitra in mano.
“Fermi tutti!” fanno i marines. “Voi non siete dove dovreste essere!”
E voi, esterrefatti, avete appena il tempo di biascicare un improbabile “bah… verament…” che loro già vi elencano i misfatti di cui vi siete incontestabilmente macchiati:
“All’ingresso nel nostro civilissimo e amatissimo e democraticissimo e perfettissimo paese avete dichiarato che oggi, 13 agosto, alle ore 15.56, sareste stati all’interno dei confini della città di New York. Invece vi trovate qui, in un luogo in cui non dovreste essere. Questo è un chiaro segnale che avete intenzioni ostili nei confronti degli Stati Uniti d’America. A causa del vostro atteggiamento fortemente sospetto dobbiamo riportarvi nel vostro ostile paese d’origine. Se fate resistenza saremo costretti a usare la forza.”
E così voi, fortemente sospetti in bermuda e infradito, farete ritorno prima del tempo nel vostro ostile paese d’origine, Calascibetta in provincia di Palermo (noto covo di terroristi), scortati dai marines in tuta mimetica.

Io, per non correre rischi, ho già cominciato a pianificare il mio viaggio negli Stati Uniti, previsto per l’estate del 2015. Ho già buttato giù una lista provvisoria degli spostamenti del primo giorno, da consegnare ai miei amici della dogana americana.

Ore 07.45. Mi alzo e vado al cesso della camera del mio albergo, situato in via ****

Ore 8.00. Mi infilo le scarpe da tennis pronto per uscire.

Ore 8.05. Entro nell’ascensore dell’albergo, scendo a piano terra, saluto l’addetto alla reception ed esco fuori.

Ore 8.10. Imbocco la strada alla destra dell’albergo, cammino per 35 metri, poi mi infilo nel vicolo sulla sinistra, mi fermo 10 secondi per guardare l’insegna di un barbiere italo-americano, poi proseguo, sempre a piedi, per 400 metri…

martedì 7 agosto 2007

Il Michelangelo del Novecento


24 ore dopo Bergman, un altro gigante del cinema ci ha lasciato. Siamo tutti un po' più orfani da quando Michelangelo Antonioni non è più tra noi.
Regista che ha filmato l'incomunicabilità tra gli uomini, scandagliando l'animo umano in profondità, immergendo i suoi personaggi in un paesaggio che nessuno sapeva riprendere come lui, Antonioni credeva nel suo ritmo lento e ipnotico, nella forza delle sue immagini, in lunghe sequenze silenziose e senza dialogo. Come l'estenuante piano-sequenza finale di Professione: reporter, o la memorabile partita a tennis senza pallina del finale di Blow-Up.
E' perciò con le immagini dei suoi film, più che con le parole, che porgo al Maestro il mio piccolo saluto.

Galleria fotografica Antonioni