lunedì 1 dicembre 2008

Inno alla carità

Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non avessi la carità,
sarei come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.

E se avessi il dono della profezia
e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza
e possedessi la pienezza della fede così da spostare le montagne,
ma non avessi la carità,
non sarei nulla.

E se anche distribuissi tutti i miei beni,
e dessi il mio corpo per essere bruciato,
ma non avessi la carità,
niente mi gioverebbe.

La carità è paziente,
è benigna la carità;

non è invidiosa la carità, non si vanta,
non si gonfia, non manca di rispetto,
non cerca il proprio interesse, non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia
ma si compiace della verità.

Tutto tollera, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta.

La carità non avrà mai fine.

Le profezie scompariranno;
il dono delle lingue cesserà, e la scienza svanirà;
la nostra conoscenza è imperfetta,
e imperfetta la nostra profezia.
Ma quando verrà ciò che è perfetto,
quello che è imperfetto scomparirà.

Quando ero bambino, parlavo da bambino,
pensavo da bambino, ragionavo da bambino.
Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato.

Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa;
ma allora vedremo faccia a faccia.
Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente,
come perfettamente sono conosciuto.

Queste dunque le tre cose che rimangono:
la fede, la speranza e la carità;
ma di tutte più grande è la carità!

S. Paolo - Prima lettera ai Corinzi 13, 1-13

giovedì 20 novembre 2008

Changeling e i marziani a tre teste

Qualche pazzo, in America (una minoranza, ma pur sempre significativa) ha scritto che l’ultimo film di Clint Eastwood (l’ultimo grande Autore Classico del cinema rimasto) è un film minore. Capisco che negli ultimi dieci anni Clint abbia fatto a gara a superare se stesso e che il peggiore dei suoi film è più grande della maggior parte degli altri, ma anche se paragoniamo l’ultima pellicola ai magnifici “Mystic River”, “Million Dollar Baby” e “Lettere da Iwo Jima”, queste affermazioni mi lasciano alquanto perplesso. A tal punto da farmi fare una brevissima considerazione a riguardo:
Se “Changeling” non è un capolavoro, io sono un marziano con tre teste, quattro braccia, cinque occhi… per non parlare della coda di plastica, del naso di metallo appuntito e delle orecchie di cerapongo (e trascuro il fatto che so volare e dipingere col pensiero).
Quello che avevo da dire l’ho detto. Anzi, aggiungo una postilla: se non date l’Oscar ad Angelina (che ha pure fatto film orribili e recitato male ma qui è trasfigurata come un angelo, nel ruolo della vita) vengo a Los Angeles e spacco tutto!


lunedì 17 novembre 2008

Il paese delle meraviglie

Ad Alice…
“Non c'era troppo da meravigliarsene, né Alice pensò che fosse troppo strano sentir parlare il Coniglio, il quale diceva fra se: “Ohimè! ohimè! ho fatto tardi!” (quando in seguito ella se ne ricordò, s'accorse che avrebbe dovuto meravigliarsene, ma allora le sembrò una cosa naturalissima): ma quando il Coniglio trasse un orologio dal taschino della sottoveste e lo consultò, e si mise a scappare, Alice saltò in piedi pensando di non aver mai visto un coniglio con la sottoveste e il taschino, nè con un orologio da cavar fuori, e, ardente di curiosità, traversò il campo correndogli appresso e arrivò appena in tempo per vederlo entrare in una spaziosa conigliera sotto la siepe. Un istante dopo, Alice scivolava giù correndogli appresso, senza pensare a come avrebbe fatto poi per uscirne.”
L. Carroll, Alice nel paese delle meraviglie

giovedì 13 novembre 2008

Si può fare

L’influenza è in arrivo. “La fidanzata di papà”, nuovo triste esempio di film prenatalizio di Boldi e compagnia, in attesa del natalizio e cristiandesicano “Natale a Rio de Janeiro”, sbarcherà domani nei cinema italiani con un numero di copie mostruoso. Per vaccinarvi contro l’idiozia spacciata per cinema, vi suggerisco di andare a vedere, e di fare vedere ai vostri amici, “Si può fare”, intelligente e divertente commedia di Giulio Manfredonia su una cooperativa sociale di ex pazienti di ospedali psichiatrici, ambientato negli anni ’80 subito dopo la riforma Basaglia che ha chiuso i manicomi, dando una possibilità di reinserimento sociale a queste persone considerate dai più “matti”. I veri matti sono quelli che, anziché andarsi a vedere questo delizioso film – interpretato da attori bravissimi e carico di umorismo e profondità – decideranno autolesionisticamente di sprecare due ore della loro esistenza (pagate per giunta) andando dietro ai filmetti natalizi di cui sopra. Il fatto è che il film di Manfredonia è stato distribuito in pochissime copie e non ha avuto alcuna pubblicità. Perciò l’unica possibilità che ha di essere visto è il passaparola. Difficile? Sì, ma io dico che “si può fare”. Perciò vi esorto a darvi una mossa per aiutarlo.
Una piccola chicca: ho assistito alla proiezione della pellicola a Trieste. Oltre al cast era presente lo sceneggiatore, il quale – a proposito del titolo – ha detto: “Ho depositato la prima stesura della sceneggiatura alla SIAE nel 2001, e già allora si intitolava “Si può fare”. Se fossi stato in America, avrebbero detto che ho anticipato il motto di Obama. Siccome sono in Italia, mi hanno accusato di aver copiato Veltroni.”

mercoledì 5 novembre 2008

Yes, we can

“Se c'è qualcuno là fuori che ha ancora dei dubbi sul fatto che l'America sia un posto in cui tutto è possibile, che dubita che il sogno dei nostri padri fondatori sia ancora vivo, che si interroga sul potere della nostra democrazia, questa notte ha avuto una risposta.
È la risposta di giovani e anziani, ricchi e poveri, democratici e repubblicani, bianchi e neri, ispanici e asiatici, gay e eterosessuali, disabili e non… Gli americani hanno lanciato un messaggio al mondo: non siamo mai stati soltanto un insieme di individui o un insieme di stati blu e di stati rossi. Siamo e saremo sempre gli Stati Uniti d'America…

Diamo vita a un nuovo spirito di patriottismo, di responsabilità, dove ciascuno di noi si impegna a lavorare di più, e occuparsi non soltanto di noi ma anche del prossimo… In questo paese noi cadiamo e risorgiamo come una sola nazione, un unico popolo. Dobbiamo resistere alla tentazione di tornare alle divisioni e all’immaturità che hanno avvelenato la nostra politica per tanto tempo…

Queste elezioni hanno avuto già molti primati e molte storie che saranno raccontate per generazioni, ma una che mi viene in mente questa sera parla di una donna che ha votato ad Atlanta. Come milioni di altri si è messa in fila per far sentire la sua voce in queste elezioni, con una differenza: Ann Nixon Cooper ha 106 anni.
È nata appena una generazione dopo la schiavitù, nel periodo in cui non c'erano macchine per le strade o aeroplani nel cielo; quando qualcuno come lei non poteva votare per due motivi - perché era una donna e per il colore della sua pelle. E quest'anno, in queste elezioni, lei ha toccato con il dito lo schermo, e ha votato, perché dopo 106 anni in America, attraversando i momenti migliori e le ore più buie, lei sa come l'America può cambiare…

Non ho mai avuto tanta speranza come questa sera qui con voi… E’ stato un percorso lungo. Ma questa notte, per quello che abbiamo fatto in questi giorni, in queste elezioni e in questo momento di definizione della nostra storia, il cambiamento è arrivato in America…

Anche se questa sera festeggiamo, sappiamo che le sfide di domani saranno le più grandi della nostra vita: due guerre, un mondo in pericolo, la peggior crisi finanziaria del secolo… La strada di fronte a noi è lunga, la scalata è ardua. Questo percorso non lo compiremo in un anno o in un mandato presidenziale, ma ce la faremo. Io vi prometto che insieme ce la faremo.

Sì, noi possiamo (Yes, we can).

Siamo arrivati fin qui. Abbiamo visto così tanto, ma c’è ancora molto da fare. Questa notte dobbiamo chiederci: se i nostri bambini vivranno abbastanza per vedere il prossimo secolo, se le mie figlie saranno così fortunate da vivere più di 100 anni, quali cambiamenti vedranno? Quali progressi avremo fatto? Adesso possiamo rispondere a questa domanda.
E’ il nostro momento. E’ il nostro tempo. E’ ora di ridare un lavoro alla gente, aprire le porte delle opportunità ai nostri ragazzi, ristabilire la prosperità e promuovere la pace. Far rivivere il sogno americano e riaffermare una grande verità: che, sebbene tanti, noi siamo uno solo. Che mentre respiriamo, speriamo. E quando ci scontriamo con il cinismo e i dubbi di quelli che ci dicono che non possiamo, risponderemo con quella infinita speranza che unisce lo spirito di un popolo:

Sì, noi possiamo (Yes, we can).

Grazie. Dio vi benedica e Dio benedica gli Stati Uniti d'America.”

Barack Obama, 44° presidente degli Stati Uniti d’America

lunedì 3 novembre 2008

Felipe Massa, il papà e la supermodella

E alla fine Felipe non ce l’ha fatta. Ha perso il mondiale per due curve di troppo. Quelle che hanno consentito a Hamilton di superare Glock e arrivare quinto, conquistando quei quattro punti decisivi per mantenere la testa della classifica. Nel GP più emozionante dell’anno, il miracolo non è accaduto, anche se per un paio di giri sembrava lì, ad un passo. Ma in questa carambola di emozioni fortissime che hanno accompagnato la folla di Interlagos e i telespettatori da casa, emerge il montaggio alternato dei due box inquadrati nei momenti decisivi della corsa. Da una parte (box Ferrari) veniva inquadrato il papà di Massa, viso paonazzo e cuore in gola. Dall’altra (box McLaren), la fidanzata di Hamilton, star musicale col fisico da supermodella.
Il Papà e la Supermodella.
Nulla di casuale, se si pensa ai due piloti che si sono giocati il titolo iridato.
Hamilton è figo. Hamilton è strafottente. Hamilton è un predestinato. Baciato dal talento, sin da ragazzino ha dimostrato di poter vincere le corse con una facilità e superiorità imbarazzanti. Non per niente, al primo anno in F1 ha sfiorato il titolo, vincendolo la stagione successiva. Impulsivo, sicuro di sé, spesso al centro di polemiche (per i suoi atteggiamenti in pista al limite del lecito e l’innegabile fortuna che accompagna il suo talento.) Ecco chi è Hamilton.
Massa è piccolo. Massa è umile. Massa non è mai stato considerato il migliore. Ha sempre dovuto lottare per conquistarsi ogni pole, ogni gran premio, ogni chance di vittoria. Considerato il secondo di Schumacher prima, il secondo di Raikkonen poi, ha visto i suoi compagni di squadra vincere il mondiale. E a lui sono rimaste sempre le briciole. Generoso, discreto, amato da tutti (e non è un caso che ieri tifavano tutti per lui: piloti, manager, spettatori). Ecco chi è Felipe.
Allora è logico che da una parte abbiamo il papà di Felipe, uomo dal grande cuore e dal viso rubicondo. Un padre che, ricoverato in ospedale nella settimana che precede la corsa decisiva del figlio, ammonisce l’infermiera: “Se non mi dimettete prima di domenica, salto dalla finestra e raggiungo il circuito a piedi”. Dall’altra parte invece abbiamo la star delle Pussycat Dolls, gruppo pop/dance americano: bellissima, truccatissima, famosissima, ricchissima, inquadratissima.
E io sto con Felipe. Non sto con Felipe perché guida la Ferrari. Sto con Felipe a prescindere. Sto con lui che per la prima volta nella carriera ha avuto l’opportunità di vincere un mondiale, ha fatto di tutto per conquistarlo, è stato perseguitato dalla sfortuna (gran premi guidati in testa sin dall’inizio e persi a un giro dalla fine per la rottura del motore… gran premi già quasi vinti e persi per errori clamorosi dei meccanici) e alla fine l’ha perso per un solo punto, dopo aver surclassato l’avversario nell’ultima gara, stravincendo davanti alla propria gente mentre il rivale arrancava in cerca del quinto posto e lo raggiungeva solo alla penultima curva. Io sto con Felipe, i cui occhietti piangevano sul podio più amaro della carriera. Uno che forse non avrà più l’opportunità di vincere un mondiale. Perché Hamilton è fortissimo. Perché Raikkonen (campione l’anno scorso) quest’anno si è preso una vacanza ma il prossimo tornerà alla grande. Perché Alonso ha una voglia matta di venire in Ferrari e tornare ad essere il numero 1.
Hamilton ha vinto, a soli 23 anni. E vincerà ancora, perché il talento è fuori discussione. E’ un bravo ragazzo, è un pilota formidabile, ed è stato il più costante durante l’anno. Inoltre, a voler essere sinceri, il destino gli ha ridato quello che gli aveva tolto. Un anno fa arrivò all’ultima gara, in Brasile, con 7 punti di vantaggio su un ferrarista (Raikkonen) e perse il mondiale per un solo punto. Quest’anno è arrivato all’ultima gara, ancora in Brasile, con 7 punti di vantaggio su un ferrarista (Massa) e ha vinto il mondiale per un solo punto. Va bene così, direte. Sì, ma io tra il fighetto predestinato e l’umile piccoletto scelgo il secondo. Tra la supermodella e il papà scelgo il secondo. Tra chi ha vinto il mondiale e chi lo ha perso scelgo il secondo. Sto con Felipe, sempre e comunque. Sperando che l’anno prossimo…

venerdì 31 ottobre 2008

La crisi è meravigliosa

Perché mai un telespettatore, dopo aver seguito un tg, dovrebbe scoraggiarsi?
Vi risulta forse che stiamo attraversando una grave crisi economica? No. C’è forse qualche problema relativo alla scuola pubblica? No. I ricercatori delle università italiane hanno forse qualche motivo per lamentarsi? No. Siamo un paese in cui ogni giorno muoiono almeno un paio di persone sul lavoro? No. La nostra compagnia di bandiera è appena fallita? No.
E allora? No, dico questo perché il nostro presidente del consiglio ha testualmente detto:
“La Rai diffonde ansia e pessimismo. Interverrò perché la tv dia serenità.”

Ecco la divertente risposta del giornalista di Repubblica Sebastiano Messina:

L’ottimismo a reti unificate
Come può, la Rai, “cooperare con il governo per diffondere serenità”? E’ semplice. Intanto seguendo l’esempio di Mediaset, ovvero mettendo in cantiere film ispirati a un roseo ottimismo governativo. Qualche esempio: “La crisi è meravigliosa”, “Come perdere un milione di euro e vivere felici”, oppure “007 il lavoro può attendere”.
Poi bisogna dare una bella aggiustatine ai programmi in palinsesto, perché spargano un po’ di sana allegria tra i telespettatori. Cominciando da Raitre, naturalmente. Il programma di Fabio Fazio si chiamerà da ora in avanti “Che bel tempo che fa”, “Agrodolce” verrà ribattezzato “Squisito” mentre “Un giorno in pretura” diventerà “Una domenica al luna park”. Raidue dovrà cancellare “Delitti irrisolti”, sostituendoli con “I misteri di Babbo Natale”. Quanto a Raiuno, è già in regola. L’unica novità sarà la nuova trasmissione del sabato sera: “Carfagna, che fortuna!”.

mercoledì 29 ottobre 2008

L'oceano in un bicchiere

Basta una banalità (l’impossibilità di essere presente alla laurea di un mio amico perché vivo a qualche centinaio di chilometro di distanza) per farmi sentire impotente di fronte a una realtà che spesso dimentico: non mi basterebbero cento vite per ripagare gli altri dell’amore che ho ricevuto. E tutto ciò che faccio è troppo poco. Sono un piccolo bicchiere su cui è stato riversato un oceano d’amore. E non potendone contenere più di una certa quantità, perché il resto trabocca, posso restituirne solo una minima parte. Forse un giorno esploderò, e le mie pareti di cristallo si trasformeranno nel fondale caldo e accogliente dell’Atlantico. E poi evaporerò, restituendo al cielo quel che mi ha donato attraverso l’incontro con le persone che hanno accompagnato il mio cammino.

martedì 28 ottobre 2008

Il mio romanzo - Giorno 3

Domenica 26 ho iniziato a scrivere il mio romanzo. Sono entrato nella vita di Andrea, il mio protagonista, mentre si trovava su una spiaggia indiana, in un'altra domenica 26 di quattro anni fa.
Io e Andrea ci conosciamo da quasi tre anni. Da quando si presentò a casa mia e mi chiese di raccontare la sua storia. Io mi sono seduto, e l’ho ascoltato. Ho cercato di capire chi fosse, quali emozioni volesse trasmettermi, perché avesse l’urgenza di raccontarmi la sua vita. Ho imparato a conoscere sua moglie, suo figlio, i suoi amici, i suoi colleghi, la città dove è nato e i paesi che ha visitato. Parlavamo la mattina presto, appena svegli. O la sera, durante la cena. O di notte, nei sogni. E a poco a poco ho imparato a conoscere i suoi pensieri, il suo punto di vista sul mondo, il suo amore per i viaggi e le partite di tennis, l’eccezionale acume con cui analizza le persone ma anche la fragilità che nasconde dietro il suo sarcasmo. Voleva che io scrivessi subito, che iniziassi a raccontarlo dal principio alla fine. Ma io gli ho spiegato che sono uno scrittore, non un biografo. Non potevo limitarmi a copiare la storia che mi avrebbe raccontato. Dovevo rielaborarla, strutturarla, farla mia. Trasformare in narrativa, attraverso l’uso magico delle parole, ciò che per lui era vita vissuta. Andrea ha sbuffato. Non capiva. L’unico racconto che ha scritto nella sua vita era di un solo rigo. Poi però ha compreso, quando gli ho spiegato che i romanzi sono come il vino: hanno bisogno di fermentare, di crescere nella testa di uno scrittore. Devono prendere aria, alimentarsi dell’ossigeno dell’esperienza, lievitare lentamente.
Ora l’attesa è finita. Andrea mi ha salutato ed è tornato nel suo mondo (esisterà un mondo parallelo in cui vivono i personaggi?), lasciandomi solo, di fronte alla pagina bianca, e a quella meravigliosa e terrificante scritta che è: Capitolo 1. In realtà non mi ha abbandonato. E’ sempre accanto a me, nel pensiero. Ed è felice, perché sto raccontando la sua storia. Anche se nessuno ancora la conosce, anche se prima che io finisca di scriverla passeranno varie stagioni. E io mi sento come una donna incinta che ha appena iniziato i nove mesi di parto. Dentro di me c’è un potenziale bambino che io dovrò alimentare, settimana dopo settimana, e far crescere con amore e dedizione. Finché un giorno, quando tutte le parti del bambino saranno complete, potrò finalmente partorire… (si spera nelle librerie d’Italia), e da quel momento il mio bambino non sarà più solo mio, ma sarà di tutti quelli che vorranno leggerlo. Ma è così lunga la strada e così difficile il cammino che per adesso posso solo sognare. E scrivere di Andrea… l’uomo che un giorno bussò alla mia porta e mi chiese di raccontare la sua storia.

domenica 19 ottobre 2008

Basta un telecomando

Qualcuno dice che la televisione fa schifo (per usare un eufemismo). Ed è pronto a scaraventare il televisore fuori dalla finestra di casa (conosco chi l’ha fatto) rivendicando il diritto di crescere i propri figli senza l’infernale mezzo di perdizione!
Qualcun altro dice che si stava molto meglio prima, quando invece di rimbambire davanti a uno schermo, ci si rilassava leggendo un bel libro…
Qualcun altro inveisce contro i programmi spazzatura, ribadendo disgustato che “L’isola dei famosi” o “Amici” o “Il grande fratello” sono il risultato della degenerazione socio-culturale del nostro secolo.
Peccato poi che i primi si ritrovano con dei figli sociopatici presi di mira dai compagni di classe che li sfottono perché non sanno cosa sia Striscia la notizia e non hanno mai visto un GP di Formula 1 in tv, e non conoscono il Dottor House né la faccia di Piero Angela né la pubblicità del Mulino Bianco
I secondi invece anziché leggere un bel libro se ne stanno davanti alla tv a guardarsi La Signora in giallo (come se fossero costretti).
E i terzi conoscono ogni minimo particolare di quello che criticano: infatti sono i primi spettatori dei programmi contro cui inveiscono.
Io dico che siamo diventati pazzi! Dico che la verità è talmente banale che anche un bambino di quattro anni saprebbe spiegarvela (vi sorprendereste dell’acume di certi bambini di quattro anni, che a volte sono più maturi dei trentenni genitori). Dico che la televisione è un mezzo, tutto qui. Come la radio, il cinema, la stampa… E che ognuno di noi è dotato della libertà di farne quello che vuole.
Se la televisione ti offre programmi che ti interessano, guardali.
Se non te li offre, non guardarli.
Se ti va, accendila.
Se non ti va, tienila spenta.
Puoi guardarla una volta al mese o sette ore al giorno. Dipende solo da te. Perciò non mi venire a dire che non sopporti un certo programma. Se non lo sopporti vuol dire che lo guardi. Perché se non lo guardassi non avresti nulla da sopportare o non sopportare.
Una volta un tizio mi fa: “Io odio i programmi della De Filippi! E tu?”
E io gli rispondo: “Io no. Non li guardo, quindi non li conosco, e non posso odiare qualcosa che non conosco.” Il punto è questo. Perché guardare qualcosa che non ci piace solo per il gusto di criticarla? Siamo davvero così masochisti?
Io guardo solo ciò che amo. Così non mi sento costretto a odiare niente. E’ semplice, no? Basta un telecomando.
A volte vorrei che fosse così anche con gli uomini. Che bastasse un telecomando per dimenticare le persone che ci hanno fatto del male. Cancellare dal nostro palinsesto televisivo i torti subiti e le offese ricevute. Eliminare lo sgradevole e l’insopportabile. Ma poi penso che se Dio non ci ha concesso questa possibilità, è proprio perché la vita non è qualcosa che puoi accendere e spegnere a tuo piacimento. E non sei tu a stabilire chi incontrerai e chi no, chi conoscerai e chi noi, chi ti amerà e chi no. Ogni incontro è un dono che ti viene recapitato perché tu ne faccia buon uso. E qualsiasi effetto porti (sopportabile o insopportabile, gradevole o sgradevole) ha la conseguenza di farti fare un passo in avanti nel cammino che porta alla conoscenza di te stesso. Se bastasse un telecomando per eliminare quello che non ci piace della nostra vita, tutto sarebbe più facile ma anche più vuoto. Fortuna che non è così.


venerdì 17 ottobre 2008

Presidenti a confronto


«La sola cosa di cui gli americani devono avere paura, è la paura stessa.»
(Franklin Delano Roosvelt)

«Non domandare al tuo Paese cosa può fare per te, ma cosa tu puoi fare per il tuo Paese.»
(John Fitzgerald Kennedy)

«Non dobbiamo temere il futuro, perché siamo noi, il futuro.»
(Ronald Reagan)

«La cosa migliore di questi otto anni di presidenza è stata la trota da venticinque chili che ho pescato nel lago del mio ranch.»
(George W. Bush)

domenica 12 ottobre 2008

La Bibbia giorno e notte e l'i-pod divino

Si è conclusa ieri mattina una delle esperienze mediatiche più importanti di sempre: la lettura integrale della Bibbia. La più lunga diretta televisiva della storia della televisione.
Più di 1.200 lettori di età, sesso, nazionalità e religione diverse si sono succeduti al leggio posto in Santa Croce in Gerusalemme a Roma, per leggere (con le sole, poche, interruzioni di canti sacri) i 46 libri dell’Antico Testamento e i 27 libri del Nuovo Testamento. Una maratona durata sette giorni e sette notti, inaugurata da Papa Benedetto XVI col primo capitolo della Genesi e chiusa dal cardinale Tarcisio Bertone con l’ultimo brano dell’Apocalisse.
Al di là di quello che è stato detto e di quello che si potrebbe dire, chi prende le frequenze di Rai Educational ha avuto la possibilità di accendere, a qualsiasi ora del giorno e della notte, il televisore, sintonizzandosi sulla Parola di Dio.
La parola del Padre, proclamata con le voci diverse dei diversi uomini che popolano la Terra, è stata un leit motiv che ha fatto da colonna sonora alla vita di milioni di persone, durante l’ultima settimana. Come una musica di sottofondo che accompagna la gente mentre lavora, mangia, scrive, legge, dorme e sogna. Un flusso ininterrotto. Una voce sussurrata all’orecchio che non si stanca mai di dirci quanto ci ami.
Riflettendo su quanto la musica accompagni i nostri movimenti e le nostre giornate, soprattutto dopo la diffusione di i-pod e lettori mp3, ho immaginato ragazzi che mentre fanno jogging, o camminano per strada, o prendono la metropolitana, si sintonizzano col loro i-pod “divino” sulla parola di Dio. E la ascoltano, come fosse musica, guardando negli occhi le persone che incontrano, quelle che sfiorano, quelle che vedono sedute o in piedi, silenziose o urlanti, sorridenti o pensierose. E quando tornano a casa non staccano l’i-pod dalle orecchie, ma lasciano che il flusso di parole scorra, anche mentre mangiano, anche mentre studiano, perfino quando vanno a dormire. E dopo un po’ nemmeno le parole contano più, rimane solo la voce, quella che parla al cuore e non all’orecchio, quella che anche nel sonno, quando il cervello va a dormire, continua ad accarezzare l’anima. Ogni giorno, ogni notte. Fino a quando ci si dimentica perfino di avere l’i-pod alle orecchie. Perché ormai fa parte di noi.
Se tutto ciò è un’utopia, sarebbe bello che quello che è accaduto questa settimana avesse comunque risvegliato nei cuori sopiti degli uomini il desiderio di riscoprire la Parola. Magari leggendola la mattina, prima di andare all’università, o la sera, quando si torna da lavoro. Come una piccola sorsata d’acqua rigenerante tra una fatica e l’altra. Come la Nona di Beethoven ascoltata in pausa-pranzo. Se non altro, quest’avventura televisiva ci ha ricordato che, quando vogliamo, possiamo “accendere il televisore biblico” e ascoltare Dio (basta recuperare il libro delle sacre Scritture che teniamo sullo scaffale in alto a destra pieno di polvere). Senza limiti d’orario. Ovunque ci troviamo. Giorno e notte.


domenica 28 settembre 2008

Lassù qualcuno lo ama

Se n’è andato a 83 anni il grande Paul Newman. Ogni parola è superflua. Mi piace ricordarlo elencando solo alcuni dei film che ha magnificamente interpretato nel corso della sua lunga carriera: da vedere e rivedere.

Lassù qualcuno mi ama (1956)
La gatta sul tetto che scotta (1958)
Lo spaccone (1961)
Nick mano fredda (1967)
Butch Cassidy (1969)
La stangata (1973)
L’inferno di cristallo (1974)
Il verdetto (1982)
Il colore dei soldi (1986)
Era mio padre (2002)

Che il cielo ti sia lieve, Paul…

sabato 27 settembre 2008

Cecità

E se la cecità diventasse una malattia contagiosa?
E si propagasse un’epidemia globale nel giro di pochi giorni?
E il governo mettesse in quarantena tutti i ciechi?
E poi i parenti dei ciechi? E gli amici dei ciechi?

Come al solito, dando una risposta affermativa a una domanda surreale, Josè Saramago costruisce una storia simbolica, metaforica, ma straordinariamente realistica. Fatta del sangue della vita vera ma rivestita della pelle di una sfrenata fantasia. Dove osservazione entomologa della realtà e sublime volo della fantasia si incontrano.
Cecità ci parla di quello che ognuno di noi può diventare in circostanze estreme. O meglio, di quello che ognuno di noi è (anche, non solo, ma anche): “In realtà deve ancora nascere il primo essere umano sprovvisto di quella seconda pelle che chiamiamo egoismo.
Ci parla della paura di morire: “Che dobbiamo morire, lo sappiamo sin da quando nasciamo, Perciò, in un certo senso, è come se già fossimo nati morti.
E ancor di più della necessità di guardare, ci parla della necessità di essere guardati, di avere accanto testimoni che confermino il nostro esserci nel mondo, qui ed ora: “Ci vedrò sempre meno, anche se non perderò la vista diverrò sempre più cieca di giorno in giorno perché non avrò più nessuno che mi veda.
Mentre il tempo scorre, seguendo coordinate che non sono le nostre, ma le sue: “E’ il tempo che comanda, il tempo è il compagno che sta giocando di fronte a noi, e ha in mano tutte le carte del mazzo, a noi ci tocca inventarci le briscole della vita, la nostra.
E se “la virtù trova sempre degli scogli nel durissimo cammino della perfezione” nel romanzo di questo straordinario narratore ci sono pochissimi scogli. La scrittura scorre, limpida, tenace, mentre la nostra mente cerca di rifugiarsi da qualche parte, provando disperatamente a negare ciò che è. Ma gli occhi ci tradiscono, perché “degli occhi abbiamo fatto una sorta di specchi rivolti all’interno, con il risultato che, spesso, ci mostrano senza riserva ciò che stavamo cercando di negare con la bocca.

mercoledì 24 settembre 2008

Come buttare una domenica mattina a Roma (parte prima)

Istruzioni ad uso e consumo dei turisti della capitale:

1. Decidere di fare una bella gita in battello sul Lungotevere dopo aver visto la pubblicità in più lingue presente sui monitor della Metro.

2. Collegarsi a Internet e accedere al sito apposito per controllare la disponibilità dei battelli.

3. Leggere le seguenti informazioni:
Orari servizio: ottobre - maggio 7,30-20,00; giugno-settembre 7,30-24,00; interruzione del servizio: 13,30 -15,30. Una partenza ogni 20 minuti.

4. Stampare le indicazioni del sito e seguirle alla lettera. Quindi…

5. Prendere la Metro Linea A direzione Battistini.

6. Fermarsi a Ottaviano. Scendere. Cercare la fermata del bus 32. Vedere il bus 32 passarti sotto il naso e non fare in tempo a salirci.

7. Aspettare il successivo bus 32 in piedi (nessuna panchina nelle vicinanze) per ventun minuti e trentaquattro secondi.

8. Prendere il bus 32 in direzione Tor di Quinto e scendere alla fermata De Bosis/Stadio Tennis.

9. Scendere le scale che conducono sulla banchina del Lungotevere. Approdare al punto di partenza del battello indicato nel sito. Vedere che non c’è nessuno. Trovare un gruppetto di persone che attende il battello. Invano.

10. Chiedere informazioni alle persone già presenti. Risposte: “Il battello non c’è!” “Nun se vede nessuno!” “Stamo qua da mezz’ora!” “E mo’ che famo?”

11. Trovare un foglietto di carta squallido attaccato a un’insegna con la scritta: “Il servizio è momentaneamente sospeso”.

12. Chiedere alla proprietaria del ristorante sul molo se il servizio è effettivamente sospeso. Sentirsi rispondere: “Qui fanno come gli pare. Ieri il battello non è passato alle 10, ma è passato a mezzogiorno. Oggi non si sa. Forse passa, forse no. E’ a sorpresa!”

13. Telefonare al numero indicato nel foglietto per chiedere informazioni. Sentirsi rispondere dalla signorina: “Non sappiamo nulla. Il battello può passare o non può passare. Non so che dirle.”

14. Attendere altri 10 minuti. Invano. Osservare immobili le anatre che sguazzano sul Tevere. Riprendere la strada per tornare alla Metro.


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martedì 16 settembre 2008

L'autografo impossibile di David Foster Wallace

Inizio subito col dirvi che sto per parlare di un morto. Uso questo termine con apparente leggerezza perché sono convinto che la morte sia un’invenzione né più né meno che la penicillina. David Foster Wallace non è morto, per intenderci, ha solo deciso di andare da un’altra parte, di lasciare questa vita che evidentemente riteneva insopportabile e fuggire via, lontano. Concordo col fatto che c’è modo e modo di lasciare. Lui non l’ha fatto salvando la vita a tre bambini che stavano affogando nel Tamigi. L’ha fatto impiccandosi a 46 anni nel suo appartamento di Los Angeles. Con questo non voglio giudicarlo, ma ammetterete che tra le varie opzioni ha scelto una delle più tristi. Se ancora non capite perché sto parlando di questo tizio che si è suicidato e non delle centinaia di altri che lo fanno quotidianamente, è perché non sapete chi è David Foster Wallace (uso il presente di proposito). Semplice: uno dei massimi scrittori americani contemporanei. Poi il fatto che a me piaccia a o meno è un altro discorso. Il punto è che DFW non potrà più scrivere libri, o se li scriverà lo farà per gli angeli del cielo e non per noi comuni lettori di questo pianetucolo di quart’ordine. E, soprattutto, non potrà più firmare autografi. Cosa c’entra questo adesso? C’entra, perché la storia che sto per raccontarvi è tanto macabra (a posteriori) quanto vera.

Facciamo un passo indietro: essendo vittima della “SCLO” (Sindrome Compulsava del Lettore Onnivoro), compro più libri di quelli che poi arrivo a leggere. Ergo: finito di leggere un libro passo a un altro, finito questo è pronto un terzo, e così via, in una spirale infinita, perché per ogni libro che leggo ne compro due, eccetera eccetera… Pur essendo metodico, non ho una lista predefinita dei libri che devo leggere. Nessuna scaletta, nessun vincolo. Così capita che finito di leggere un Eliade passo a un più leggero Connelly, poi mi butto su Fante e dopo mi bevo Pirandello, per poi mangiarmi un McEwan tra un Saramago e un Veronesi. Vado a naso, a secondo di quello che mi ispira il momento.

Ed è così che ho scelto, una settimana fa, di iniziare a leggere “Non buttiamoci giù” di Nick Hornby. Per chi non l’avesse capito è un libro che parla di suicidi. O meglio, di quattro aspiranti suicidi che si ritrovano sul tetto di un palazzo e anziché buttarsi giù iniziano a parlare, fino a quando gli passa la voglia di buttarsi (ammesso che abbiano mai avuto il coraggio per farlo). Ebbene, finito di leggere il romanzo, dovevo scegliere il prossimo. Non so perché, ma dopo un’agguerrita eliminatoria che ha visto vittime illustri (Follett, Tomasi di Lampedusa, Svevo) rimango indeciso tra due titoli, che si contenderanno il ruolo di “prossimo libro da leggere”. I due titoli sono:

Piccoli suicidi tra amici, di Arto Paasilinna
Infinite Jest, di David Foster Wallace

Non ha importanza stabilire quale libro ho scelto. Ha importanza sapere perché, tra le centinaia di libri a disposizione, ne ho scelto uno che parla di suicidi e uno scritto da un suicida (ovviamente al momento non sapevo che DFW in quelle stesse ore aveva deciso di impiccarsi; ma questo non cambia nulla). Se siete abbastanza sconvolti non avete ancora sentito questa: proprio in quei giorni mi metto a scrivere un racconto. Indovinate un po’ il tema: il suicidio di una persona celebre. Ora tenetevi forte. Il racconto l’ho intitolato: l’autografo di David Wallace. Il bello è che mentre pensavo a un nome per il mio personaggio suicida, mi è istintivamente venuto in mente questo. Suonava bene, non so perché. E non mi ha nemmeno sfiorato l’idea che bastasse aggiungere un banalissimo Foster per avere il nome di un famoso scrittore americano. In quel momento manco mi ricordavo dell’esistenza di DFW. Per la cronaca, alla fine del mio racconto il personaggio viene salvato da un tassista che gli impedisce di suicidarsi per permettere alla moglie di continuare a guardare il programma tv che conduce (e che non avrebbe più potuto condurre se si fosse suicidato). DFW invece non è stato salvato da nessun tassista. Certo era difficile, essendosi ucciso in casa. Forse se decideva di andarsi a buttare da un ponte… Fatto sta che c’è da andare al manicomio. Ovviamente non credo nelle coincidenze. Altrettanto ovviamente non so se questa storia abbia un senso. So solo che tutto ciò mi fa sentire più vicino a David, ovunque sia in questo momento. Ed è strano aprire le pagine del suo libro e leggere le sue parole sapendo che sono le parole di un morto. Ed è strano rileggere il mio racconto e pensare che David (Foster) Wallace non potrà più scrivere autografi.

Scrive Josè Saramago: “Uno scrittore finisce per avere nella vita la pazienza di cui ha avuto bisogno per scrivere.” Ecco, forse DFW non ha avuto questa pazienza. La pazienza di cercare nel pantano della vita il ramo invisibile a cui aggrapparsi quando anche l’ultima illusione di felicità sembrava essersi dissolta.

martedì 9 settembre 2008

Lettera a Michael Crichton

Caro Michael,
ho appena letto il tuo libro “Stato di paura”. Ora, a me piace andare subito al sodo. Perciò, senza convenevoli, ti dico subito: ma che cacchio ti è preso?
Voglio dire, non discuto le tesi affascinati che proponi nel romanzo: il catastrofismo che regna intorno all’argomento “surriscaldamento globale” non corrisponde a quella che è la realtà dei fatti. L’uomo è meno responsabile di quanto si pensi riguardo ai cambiamenti in atto. Dietro agli allarmismi e ai facili strilloni dei giornali sul cambiamento climatico in atto c’è una complessa strategia che ha un suo preciso scopo, quello di farci vivere nella paura. Tutto molto interessante.
Allora dove sta il problema?
Il problema sta nel fatto che i dati che hai raccolto e che mostri, le tesi che enunci, le argomentazioni che porti, andavano benissimo per un saggio. Tu invece, essendo un narratore, le hai trapiantate in un romanzo. Tutto bene, dirai tu, tranne il fatto che il romanzo è scritto proprio male. Non cito nemmeno la parola letteratura, perché di quella non c’è traccia, ma qui siamo dalle parti della narrativa da discount. Passi per la trama confusionaria, in cui i personaggi (troppi) si spostano da un continente all’altro e già dopo 30 pagine non si capisce più una mazza. Passi per le descrizioni sommarie dei luoghi (alla Dan Brown). Passi per la trama a dir poco inverosimile con catastrofe finale sfiorata. Passi pure per le solite 583 (!) pagine, sappiamo benissimo che la sintesi non è tra le tue doti. Ma lo stile, la profondità, la leggerezza, dove sono? Personaggi piatti di cui ti scordi i nomi e che non ispirano nessuna identificazione. Colpi di scena che si susseguono talmente ravvicinati da annullarsi a vicenda. Frasi trite e ritrite almeno quanto l’espressione che ho appena usato (appunto la frase “frasi trite e ritrite” è una frase trita e ritrita). Banalità in scala industriale. E alla fine cosa rimane? La tesi, solo la tesi. Appunto: non l’intreccio, non i personaggi, non la scrittura… ma il messaggio. E per recapitare il messaggio bastava un saggio. Invece tu hai inserito il saggio all’interno di un polpettone inverosimile e indigesto di pessima narrativa. Intendiamoci, niente di peggio di un qualsiasi best seller clonato che trovi a 6 euro in un supermercato di Miami, ma molto al di sotto della tua fama.
Come diceva un personaggio di non so quale storia: “Scusa se ti dico queste cose, ma non te le direi se non ti amassi.” E’ valsa comunque la pena leggere il tuo romanzo, perché dice cose interessanti anche se le dice male. Forse è pur sempre preferibile una bella idea enunciata da un balbuziente piuttosto che una pessima idea proclamata da un retore. Ma il lettore esigente che è in me sentiva il bisogno di sfogarsi, e le esagerazioni del suo sfogo sono dovute al troppo amore per la letteratura. Spero che non te la prenderai troppo, ci sentiamo quando leggo il tuo prossimo romanzo.



lunedì 18 agosto 2008

Prossimamente al cinema

Ecco un elenco dei venti film più attesi della prossima stagione, tra quelli che usciranno da settembre a gennaio… come sempre personale, come sempre opinabile, come sempre pronto a scontrarsi con la visione dei film (e relative delusioni, conferme, rivelazioni).

Australia, di Buzz Luhrmann (Gennaio)
Wall-E, di Andrew Stanton (Ottobre)
007 – Quantum of solace, di Marc Forster (Novembre)
Miracolo a Sant’Anna, di Spike Lee (Ottobre)
The mist, di Frank Darabont (Ottobre)
Vicky Cristina Barcelona, di Woody Allen (Ottobre)
X-Files – Voglio crederci, di Chris Carter (Settembre)
Un giorno perfetto, di Ferzan Ozpetek (Ottobre)
Body of lies, di Ridley Scott (Ottobre)
Burn after reading, di Joel e Ethan Coen (Settembre)
Lezione 21, di Alessandro Baricco (Ottobre)
Tropic Thunder, di Ben Stiller (Ottobre)
Ultimatum alla Terra, di Scott Derrickson (Dicembre)
Come Dio comanda, di Gabriele Salvatores (Dicembre)
The Spirit, di Frank Miller (Dicembre)
La classe – Entre le murs, di Laurent Cantet (Ottobre)
Harry Potter e il principe mezzosangue , di David Yates (Novembre)
The burning plain, di Guillermo Arriaga (Ottobre)
Hancock, di Peter Berg (Settembre)
The hurt locker, di Kathryn Bigelow (Settembre)

giovedì 7 agosto 2008

La prova dell'uomo che affoga

Nell’ultimo film del grande Sidney Pollack (1934-2008), “The Interpreter”, Nicole Kidman interpreta la parte di una donna nata in una pese immaginario dell’Africa (il Matobo). In un confronto toccante con Sean Penn, a proposito del dolore causato dalla perdita di una persona cara, e della naturale pulsione di vendetta che anima i familiari delle vittime, la donna si rivolge all’uomo con queste parole:

Chiunque perda una persona desidera vendetta su qualcuno, su Dio se non riesce a trovare nessun altro. Ma in Africa, in Matobo, i Ku credono che l’unico modo di estinguere il dolore è salvare una vita. Se qualcuno viene ucciso, un anno di lutto finisce con un rituale chiamato “La prova dell’uomo che affoga”. Per tutta la notte c’è una festa accanto a un fiume, e all’alba l’assassino viene messo su una barca, portato al largo e gettato fuori. E’ legato, così non può nuotare. La famiglia del morto deve fare una scelta: può lasciarlo affogare o raggiungerlo a nuoto e salvarlo. I Ku credono che se la famiglia lascia che l’uomo affoghi, avrà giustizia ma passerà il resto della vita nel lutto. Ma se salva l’uomo, se ammette che la vita non è sempre giusta, proprio quel gesto porterà via il dolore. La vendetta è una pigra forma di sofferenza.

Silvia Broome/Nicole Kidman, The Interpreter

venerdì 1 agosto 2008

L'ora di Shangai







Che ore sono?
A Shangai sono le 9.
Ma non siamo a Shangai.
Io ci ho giocato una volta.
A cosa?
A shangai.
Sì, ma a cosa?
A shangai.
Ho capito: hai giocato a Shangai. Ma a cosa?
No, non ho giocato a cosa. Ho giocato a shangai.
Ah, ora è tutto chiaro.
Cosa?
Uhm… ehhh… boh, non mi ricordo.
Che cosa non ti ricordi?
Uhm… ehhh… boh! Non mi ricordo cosa non mi ricordo.
Anch’io una volta.
Cosa?
Cosa, cosa?
Cosa, anche tu una volta?
Una volta mi sono dimenticato di ricordare un ricordo che non dovevo dimenticare per poterlo ricordare.
E com’è finita?
Quattro a zero.
Come!?
Quella partita che non mi ricordavo… sì, è finita quattro a zero.
Per chi?
Per lo Shangai.
Contro chi giocava?
Non mi ricordo… la partita finì alle cinque e mezza.
Grazie.
Di che?
Ora so che ore sono.
Non c’è di che.
Di che non c’è?
Di che.
Ah… ecco… ciao.
Ciao.



lunedì 21 luglio 2008

Personaggi in cerca d'autore

Nel racconto di Javier Argüello “Incontrarla ancora” lo scrittore Ramiro sta scrivendo una storia che ha per protagonista il personaggio Joaquìn. Almeno fino a quando non scopre che è Joaquìn il vero scrittore e che lui è soltanto un personaggio nato dalla sua fantasia. Ruoli che si scambiano, dunque. Come in Luigi Pirandello e nei suoi Sei personaggi in cerca d’autore. Personaggi sì, ma in carne ed ossa, che salgono in palcoscenico reclamando la necessità di essere messi in scena. Di personaggio che reclama la ribalta si può parlare anche nel romanzo di Stephen King La metà oscura, in cui uno scrittore che scrive sotto pseudonimo decide di liberarsi del suo alter ego, senza fare i conti col diretto interessato che, presentandosi in carne ed ossa, miete vittime per affermare la propria identità. E d’altra parte proprio King racconta in Misery non deve morire di come non sia facile per uno scrittore liberarsi dei propri personaggi, allorché una lettrice dei suoi romanzi lo sequestra minacciandolo di morte se si azzarderà a fare morire sulla pagina la sua eroina letteraria.
Passando dalla pagina allo schermo: altro caso, altro personaggio. Il protagonista di Vero come la finzione, film di Marc Forster, scopre di essere il personaggio principale di un romanzo destinato a concludersi con la sua morte. Per sopravvivere, si decide a incontrare la scrittrice del romanzo per convincerla a lasciarlo in vita, chiedendole un happy end. Trattandosi di una commedia, l’esito va a buon fine. Stesso spunto di partenza ma finale decisamente diverso nell’episodio di Night Visions (una recente serie tv americana sul paranormale) in cui il protagonista di un racconto, dopo aver scoperto di non essere “reale”, non riesce a impedire al suo scrittore di farlo morire sulla pagina e, quindi, anche nella vita vera. Decisamente più soft ma non meno incisivo l’episodio di Ai confini della realtà (storica serie televisiva creata da Rod Serling) “Un mondo su misura” (Stagione 1, episodio 36) in cui uno scrittore è in grado di materializzare qualsiasi tipo di personaggio semplicemente facendone una dettagliata descrizione nel suo registratore. In un altro episodio di Ai confini della realtà intitolato “L’avventura di Arthur Curtis” (Stagione 1, episodio 23) un affermato uomo d’affari di nome Arthur Curtis scopre di essere in realtà solo il personaggio di un film dal titolo “Il mondo privato di Arthur Curtis”.
In mille altre storie persona e personaggio si fondono e si confondono, fino a camminare a braccetto, come equilibristi, su quel filo sottile che divide fantasia e realtà, creazione artistica e vita vissuta. E voi, siete così sicuri di non essere stati partoriti dalla mente di uno scrittore? E che non rischiate, da un momento all’altro, di sparire nel nulla a causa di un colpo di penna?

venerdì 18 luglio 2008

Grazie Lorenzo

Arena del mare… Campofelice di Roccella… 16 luglio 2008… Lorenzo Jovanotti Cherubini in concerto… Safari tour… 5.000 esseri umani… Sotto un cielo di note… Grazie Grazie Grazie…

A te che sei l’unica al mondo
L’unica ragione per arrivare fino in fondo
Ad ogni mio respiro
Quando ti guardo
Dopo un giorno pieno di parole
Senza che tu mi dica niente
Tutto si fa chiaro
A te che mi hai trovato
All’ angolo coi pugni chiusi
Con le mie spalle contro il muro
Pronto a difendermi
Con gli occhi bassi
Stavo in fila
Con i disillusi
Tu mi hai raccolto come un gatto
E mi hai portato con te
A te io canto una canzone
Perché non ho altro
Niente di meglio da offrirti
Di tutto quello che ho
Prendi il mio tempo
E la magia
Che con un solo salto
Ci fa volare dentro all’aria
Come bollicine
A te che sei
Semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei giorni miei
A te che sei il mio grande amore
Ed il mio amore grande
A te che hai preso la mia vita
E ne hai fatto molto di più
A te che hai dato senso al tempo
Senza misurarlo
A te che sei il mio amore grande
Ed il mio grande amore
A te che io
Ti ho visto piangere nella mia mano
Fragile che potevo ucciderti
Stringendoti un po’
E poi ti ho visto
Con la forza di un aeroplano
Prendere in mano la tua vita
E trascinarla in salvo
A te che mi hai insegnato i sogni
E l’arte dell’avventura
A te che credi nel coraggio
E anche nella paura
A te che sei la miglior cosa
Che mi sia successa
A te che cambi tutti i giorni
E resti sempre la stessa
A te che sei
Semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei sogni miei
A te che sei
Essenzialmente sei
Sostanza dei sogni miei
Sostanza dei giorni miei
A te che non ti piaci mai
E sei una meraviglia
Le forze della natura si concentrano in te
Che sei una roccia sei una pianta sei un uragano
Sei l’orizzonte che mi accoglie quando mi allontano
A te che sei l’unica amica
Che io posso avere
L’unico amore che vorrei
Se io non ti avessi con me
a te che hai reso la mia vita bella da morire, che riesci a render la fatica un immenso piacere,
a te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande,
a te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più,
a te che hai dato senso al tempo senza misurarlo,
a te che sei il mio amore grande ed il mio grande amore,
a te che sei, semplicemente sei, sostanza dei giorni miei, sostanza dei sogni miei...
e a te che sei, semplicemente sei, compagna dei giorni miei...sostanza dei sogni...


martedì 15 luglio 2008

Pomeriggio

Che cos’altro ti manca, se hai una biblioteca che si apre su un piccolo giardino?

Cicerone


mercoledì 9 luglio 2008

Battaglie navali

In una cucina come tante altre, nella tarda mattinata di un afoso giorno di luglio, fratello e sorella stanno giocando alla battaglia navale sul tavolo di mogano. La temperatura esterna segna i 43 gradi. Le finestre sono sigillate e l’aria condizionata funziona a pieno regime. La madre, seduta sulla sedia di paglia a pochi passi da loro, sta seguendo il telegiornale.
“F-16”
“Acqua!”
“A-2”
“Acqua!”
“C-3”
“Acqua!”
“Sshhh",” fa la mamma. “Stanno parlando di una cosa importante.”

… Dopo il pranzo di lavoro, i membri del G8 si sono dati appuntamento per la conferenza stampa che è appena iniziata. Come vedete alle nostre spalle, ha preso la parola il…

“B-9”
“Acqua!”
“C-14”
“Acqua!”
“C-13”
“Acqua!”

... quindi, i leader degli otto paesi hanno confermato la loro assoluta determinatezza nel combattere il problema dei cambiamenti climatici, assicurando il loro massimo impegno. Già nel pomeriggio verrà ratificato l’accordo per ridurre le emissioni nocive entro il 2100…

“Ma mamma, nel duemilaeccento noi saremo morti!”
“Sshhh! Non interrompere!”

ricordiamo che lo scorso anno gli otto grandi avevano firmato il protocollo per la riduzione delle emissioni entro il 2050. Un programma a lungo termine che è stato ulteriormente prolungato a causa delle difficoltà economiche subentrate negli ultimi mesi e della sostanziale mancanza di fiducia nelle nuove tecnologie eco-compatibili…

“H-9”
“Acqua!”
“H-8”
“Acqua!”
“E-4”
“Acqua!”

… Come vedete alle mie spalle, il clima è disteso, e gli otto leader non perdono occasione per scambiarsi sorrisi cordiali e strette di mano, per la gioia dei fotografi. Ma ora seguiamo in diretta l’intervento del premier…

“G-6”
“Colpito!”
“G-7”
“Colpito!”
“G-8”
“Affondato!”

un momento… ma cosa… incredibile! I leader del G8 sono… sono… spariti… letteralmente spariti davanti ai nostri occhi! La sala stampa è in subbuglio… non riesco a…l’avete visto, l’avete visto! Stavano parlando… erano tutti lì, seduti… nel nulla… sono spariti nel nulla!

La mattina dopo, nella stessa cucina, alle otto e quarantacinque di un afoso giorno di luglio, fratello e sorella hanno appena finito di fare colazione sul tavolo di mogano. Il televisore è acceso.

… proseguono senza sosta le ricerche degli otto leader mondiali misteriosamente scomparsi nel nulla ieri mattina durante la conferenza del G8. I capi di governo si sono come… dissolti, davanti agli occhi dei molti giornalisti presenti, delle guardie del corpo, e di milioni di telespettatori. La comunità scientifica, interrogata sulle possibili spiegazioni dell’evento, ha espresso la sua costernazione per l’accaduto, confermando la propria impotenza a riguardo. Ulteriori aggiornamenti nell’edizione delle…

Spento il televisore il fratello apre il frigorifero e, boccheggiante, trangugia un’intera bottiglia d’acqua fresca. Poi guarda la sorella, madida di sudore. La temperatura esterna è salita a 44°. Il condizionatore si è rotto nella notte.
“Ti va di giocare alla battaglia navale?”
“Con questo caldo non mi va di fare niente.”
“Dai, che almeno facciamo qualcosa!”
“E va bene, però non imbrogliare come hai fatto ieri.”


venerdì 4 luglio 2008

I racconti impossibili di Javier Argüello

Uno scrittore che rimane intrappolato nella storia che sta raccontando, vittima di uno scambio tra persona e personaggio. Un uomo impegnato ad ascoltare una bizzarra storia raccontata da una presa elettrica. Una casa costruita al contrario, sottoterra, in un mondo privo di gravità. Un inesistente autore irlandese che diviene famoso grazie a un equivoco. Un mondo in cui viene istituita una legge che vieta agli studenti di tossire in classe. Un narratore che viaggia nel tempo per scoprire se le sue opere saranno ricordate. Una lettera scritta a una donna in cui realtà e immaginazione si confondono. Sono le tracce dei sette racconti impossibili di Javier Argüello, giovane scrittore argentino cresciuto a pane e Borges, pubblicato in Italia da Nottetempo. Per chi volesse fare un'escursione nel fantareale…


mercoledì 2 luglio 2008

Le origini della musica

La vita disse a Dio: “Amami”
E Dio creò la mente dell’uomo.
La mente dell’uomo disse alla vita: “Ascoltami.”
E la vita creò l’anima della donna.
L’anima della donna disse al cuore dell’uomo: “Parlami.”
E l’uomo inventò la musica.

da Sentieri di luce

sabato 28 giugno 2008

La voce e i corpi, lassù tra le stelle

Stavano dietro le quinte. Nessuno conosceva i loro volti. Eppure, con il loro lavoro, sono entrati nelle nostre vite e ci hanno tenuto compagnia, per tanti anni. Una voce, quella di Claudio Capone. I corpi, quelli creati da Stan Winston. Vi dicono qualcosa i loro nomi? Probabilmente no.

La voce è quella che ha accompagnato i servizi di Superquark. Nonché la voce di documentari di storia e archeologia andati in onda sulla Rai e su La 7. Capone ha anche doppiato il Ridge (Ron Moss) di Beautiful, il reverendo Eric Camden (Stephen Collins) de Il settimo cielo, l’ispettore Barnaby, Francesco Giuseppe nella trilogia di Sissi. Nonché varie volte John Travolta, Chuk Norris, John Malkovich. Ma soprattutto, per gli amanti del cinema, è stato la voce italiana di Luke Skywalker (Mark Hamill) nella prima trilogia di Guerre stellari. Ci ha lasciati presto, a soli 55 anni, senza preavviso, orfani della sua voce.

I corpi sono quelli delle creature realizzate da Stan Winston per il cinema. Mago degli effetti speciali, creatore di personaggi entrati nel nostro immaginario, come Terminator, Predator, Edward mani di forbice, nonché dei dinosauri di Jurassic Park e dei robot di A.I. – Intelligenza artificiale, e curatore degli effetti speciali di Aliens – Scontro finale (per cui ha vinto un Oscar) e Big Fish. Continuerà a creare personaggi in animatronic che popolano storie cinematografiche da lassù, essendosene andato, dopo una lunga malattia, a 62 anni.

Mi piace immaginarli insieme, seduti attorno a un fuoco tra le stelle, a raccontarsi storie con la passione dell’Edward Bloom di Big Fish, o a tenere spettacoli per i bambini. Winston muove le sue creature come marionette, e dietro di lui Capone le doppia in italiano, come fossero all’opera dei pupi. Poi, finito lo spettacolo, mentre i piccoli tornano a nanna, si rilassano facendosi tagliare i capelli da Edward mani di forbice, e quando vanno a dormire, anziché augurarsi la buona notte, si ripetono l’un l’altro: “che la forza sia con te.” Noi, da quaggiù, possiamo solo offrire loro il nostro grazie.


martedì 24 giugno 2008

News dal mondo di Truman (5)

NEWS.
Secondo fonti attendibili, Vittorio Sgarbi ha partecipato a una trasmissione televisiva intervenendo su tutti gli argomenti discussi senza mai alzare il tono della voce. Anzi, quasi sussurrando le parole, a tal punto che il presentatore lo ha invitato a parlare un po’ più forte perché non si capiva quello che diceva. La registrazione del filmato è reperibile sui principali siti web di informazione.


NEWS.
Paris Hilton ha donato in beneficenza a un orfanotrofio del Maine metà del suo patrimonio. La notizia, rimbalzata su tutti i principali quotidiani del mondo, è stata resa nota dalla stessa ereditiera durante una conferenza stampa di presentazione del suo ultimo film. Voci di corridoio affermano che la diva abbia seriamente intenzione di cambiare stile di vita. Sembra che sia già in trattative per vendere la sua lussuosa villa con piscina e andare a vivere in un modesto appartamento nei sobborghi di Los Angeles.

giovedì 19 giugno 2008

Sulla strada di McCarthy

Un uomo e un bambino. Sulla strada. Dopo la fine del mondo. Un padre e un figlio. In una terra desolata. Camminano, per sopravvivere.

Una scrittura che è come musica. Scorre. Fluisce. La possibilità di raccontare una storia. Una storia che non sia necessariamente allegra. Una storia che assomigli alla vita vera.

E poi l’amore, silenzioso, verso un bambino che è carne della tua carne, sangue del tuo sangue. Che è la speranza di mantenere in vita una speranza. Ciò per cui vale la pena lottare, e sopravvivere, in un mondo di rovine.


Vuoi che ti racconti una storia?
No.
Perché no?
Il bambino lo guardò e poi distolse lo sguardo.
Perché no?
Quelle storie non sono vere.
Non devono essere per forza vere. Sono storie.
Sì. Ma nelle storie aiutiamo sempre qualcuno, mentre in realtà non aiutiamo nessuno.
Perché non me la racconti tu una storia?
Non mi va.
Ok.
Non ho nessuna storia da raccontare.
Potresti raccontarmi una storia che parla di te.
Le sai già tutte le storie che parlano di me. C’eri anche tu.
Ma dentro di te hai delle storie che io non conosco.
Cioè, come i sogni?
Per esempio. O anche le cose a cui pensi.
Sì, ma le storie dovrebbero essere allegre.
Non per forza.
Tu racconti sempre storie allegre.
E tu non ne hai di storie allegre?
Assomigliano più alla vita reale.
Invece le mie storie no.
Le tue storie no. Infatti.
L’uomo lo fissò. La vita reale è molto brutta?
Secondo te?
Be’, io dico che siamo ancora qui. Sono successe un sacco di cose brutte ma siamo ancora qui.
Già.
A te non sembra una gran cosa.
Boh.

Cormac McCarthy, La strada

sabato 14 giugno 2008

La voce della montagna

Trapani elettrici. Martelli pneumatici. Chiacchiere. Il rimbombo sordo di un rotore. Pale di elicotteri. Clacson. Urla sommesse. Urla gridate. Motorini. Marmitte. Lo scarico dello sciacquone. Ascensori che salgono. Battistrada sull’asfalto. La metro che arriva. Il bus che va. Tv accese. Radio. Muri penetratri da chiodi. Il fuoco acceso dei fornelli. Lambrette. Tacchi a spillo sul pavimento. Mobili spostati. Telefonini che squillano. Telefonini che vibrano. Rumori. Caos. Lancette dell’orologio. Il citofono che gracchia. Pugni che bussano alla porta. Squilli di telefono. Campanelli. Campanacci. Campari stappati. Fuochi d’artificio. Botti. Pistole che sparano in televisione. Vasi che si rompono. Libri che cadono. Centrifuga. L’acqua che sbatte sulle stoviglie. Il frigo che si apre. Stridolii. Strepiti. Lampadine fulminate. Città. E poi…

… ritrovarsi a duemila metri d’altezza. Nessuno nel raggio di chilometri. L’aria della montagna scortica la crosta della tua faccia metropolitana. Il vento sussurra agli alberi. Parole d’amore. Neve. Pensieri dispersi. Lo sgocciolio lento dell’acqua sulle cime degli alberi, sul confine sottile tra la punta di un ramo e l’aria del mattino. Sudore. Rugiada. Nembi che procedono più veloci dei tuoi passi. Il cuculo canta dal cuore della foresta. Alberi. Ruscelli. Nebbia oltre l’orizzonte. Bucaneve. Fili d’erba. La mente sommersa dall’infinito non contiene le parole. Straripano, e si disperdono per i sentieri che attraversi. Le lasci lì, a oziare. Ne perdi mille, poi cento, poi dieci. E te ne ritrovi senza. Nessuna parola. Solo il silenzio. Nessuna chiacchiera umana. Solo la voce di Dio. Su, fino alla vetta, dove il vento dimora nei giorni di burrasca. Dove più in là creatura umana non può andare. Solo le aquile, imperatrici del cielo. E nella nebbia fitta, vedere più di quanto hai mai visto. Non gli occhi mortali ti soccorrono, ma qualcosa che è dentro di te. E che non ha parole. Non ha odore. Non ha suono. Non ha colore. C’è, e basta. Come te. Come la voce della montagna che ti parla… e che ti dice piano cose che voi umani non potreste mai immaginare.

martedì 10 giugno 2008

Italia-Olanda fantareale

Ancora incerta la provenienza delle scorie radioattive con effetti allucinogeni che hanno contaminato il 99,9 % del territorio italiano nella serata di lunedì 9 giugno. Le scorie si sono propagate rapidamente da Torino a Trapani. Gli italiani colpiti sono stati vittime di un’allucinazione collettiva. Durante lo stato di allucinazione hanno percepito come reale una fantomatica vittoria dell’Olanda sull’Italia per 3 reti a 0, nella partita disputata a Berna e valevole per gli Europei di calcio. Non sono stati esenti dal contagio i giornalisti italiani, che hanno scritto inverosimili articoli sui quotidiani sportivi di martedì, riportando nei tabellini della partita le inesistenti marcature di Van Nistelroy, Sneijder e Van Bronckhorst. Per chi fosse stato contagiato dalle scorie e volesse ristabilire la verità dei fatti riguardo alla partita, basta comprare in edicola una copia dei quotidiani stranieri. Qui sono presenti articoli approfonditi sulla vera partita, realmente giocata a Berna, e vinta dall’Italia per 3-0, con le reti di Toni, Pirlo e Del Piero.

venerdì 6 giugno 2008

Il derepressus caraibicus

Durante una ricerca sugli animali in via d’estinzione, mi sono imbattuto nel Derepressus caraibicus.
Trattasi di un pesce d’acqua marina, di medie dimensioni e di colore grigio nerastro, che vive nei Caraibi. Il Derepressus è chiamato così per via del suo stato d’umore tendente alla malinconia. Statisticamente ogni membro maschio della specie tenta il suicidio almeno tre volte nella sua breve vita. Gli esperti attribuiscono il fenomeno alla crescente diminuzione di esemplari femmina, che costringono i maschi a faticose e spesso infruttuose performance nella stagione degli accoppiamenti. Durante il corteggiamento, il maschio del Derepressus gira su se stesso con piroette acrobatiche e movimenti frenetici delle pinne. Generalmente, chi riesce a rimanere in movimento più a lungo conquista la femmina. Gli altri rimangono soli, stremati e con un gran mal di testa.
Nell’ultimo decennio i tentativi di suicidio si sono decuplicati. La tecnica più diffusa è lo spiaggiamento volontario: facendo leva sulla sua straordinaria capacità di nuoto, il pesce si avvicina alle spiagge caraibiche e poi, con un balzo poderoso, schizza fuori dall’acqua lanciandosi verso la spiaggia. A contatto con l’aria, il Derepressus caraibicus si gonfia istantaneamente fino ad assumere l’aspetto di un pallone. Una volta atterrato sulla sabbia, rimbalza tre-quattro volte prima di fermarsi. Poi aspetta che subentri la morte per asfissia. Tuttavia, nella stagione estiva, i bambini che giocano sulla spiaggia lo scambiano per una palla e lo colpiscono, rigettandolo in mare. Ecco perché il 90 % dei tentativi non va a buon fine.

venerdì 30 maggio 2008

Due gocce

Il mare luccicava di splendore.
Una goccia disse a un’altra goccia: “Ho sentito parlare di un immenso essere che chiamano Mare. Dicono che sia sterminato, azzurro, bellissimo.”
“Sono solo storie,” rispose l’altra goccia, “una cosa così grande la dovremmo poter vedere. Nulla di ciò che è immenso su questa terra può sfuggire alla vista.”
“Ma forse si trova lontano da qui,” riprese la prima goccia, “ed è troppo distante perché noi lo possiamo vedere.”
Ma l’altra goccia negò ancora: “Ti dico che è un inganno. Il Mare non esiste. Esiste solo ciò che puoi vedere.”
E le due gocce si separarono.
Non potevano vedere ciò di cui facevano parte.

da Sentieri di luce