lunedì 30 aprile 2007

La Storia al contrario

Trovarsi a vent’anni soldato USA mandato a combattere in Europa, essere fatto prigioniero dai tedeschi, sopravvivere al bombardamento a tappeto di Dresda (che ha fatto più morti di Hiroshima), tornare in patria, diventare uno scrittore di fantascienza (ma non solo), osannato dalla critica e riconosciuto dal pubblico.

Parabola in poche righe di Kurt Vonnegut, scrittore americano, che ha abbandonato il Pianeta Terra qualche giorno fa, a 84 anni, trovando prima il tempo di lasciarci qualche meraviglioso spunto di riflessione come questo, tratto dal suo romanzo più famoso:


Vista a rovescio da Billy, la storia era questa: gli aerei americani, pieni di fori e di feriti e di cadaveri decollavano all’indietro da un campo d’aviazione in Inghilterra. Quando furono sopra la Francia, alcuni caccia tedeschi li raggiunsero, sempre volando all’indietro, e succhiarono proiettili e schegge da alcuni degli aerei e degli aviatori. Fecero lo stesso con alcuni bombardieri americani distrutti, che erano a terra, e poi decollarono all’indietro, per unirsi alla formazione. Lo stormo, volando all’indietro, sorvolò una città tedesca in fiamme. I bombardieri aprirono i portelli del vano bombe, esercitarono un miracoloso magnetismo che ridusse gli incendi e li raccolse in recipienti cilindrici d’acciaio, e sollevarono questi recipienti fino a farli sparire nel ventre degli aerei. I contenitori furono sistemati ordinatamente su alcune rastrelliere. Anche i tedeschi, là sotto, avevano degli strumenti portentosi, costituiti da lunghi tubi di acciaio. Gli usavano per succhiare altri strumenti dagli aviatori e dagli aerei. Ma c’erano ancora degli americani feriti e qualche bombardiere era gravemente danneggiato. Sopra la Francia, però, i caccia tedeschi tornarono ad alzarsi e rimisero tutti e tutto a nuovo. Quando i bombardieri tornarono alla base, i cilindri d’acciaio furono tolti dalle rastrelliere e rimandati negli Stati Uniti, dove c’erano degli stabilimenti impegnati giorno e notte a smantellarli, a separarne il pericoloso contenuto e a riportarlo allo stato di minerale. Cosa commovente, erano soprattutto donne a fare questo lavoro. I minerali venivano poi spediti a specialisti in zone remote. Là dovevano rimetterli nel terreno e nasconderli per bene in modo che non potessero più fare del male a nessuno. Gli aviatori americani lasciarono l’uniforme e diventarono dei ragazzi. E Hitler, pensò Billy, divenne un bambino. Questo nel film non c’era. Billy stava estrapolando. Tutti tornarono bambini, e tutta l’umanità, senza eccezione, cooperò biologicamente fino a produrre due individui perfetti di nome Adamo ed Eva.


Kurt Vonnegut Jr., Mattatoio n.5

sabato 28 aprile 2007

Una scomoda verità

L’altro ieri, in Vaticano, 80 studiosi di venti nazioni si sono riuniti per un seminario sul riscaldamento globale. Il Papa ha invitato a promuovere “stili di vita, modelli di produzione e consumo improntati al rispetto del creato e alle reali esigenze di progresso sostenibile dei popoli, tenendo conto della destinazione universale dei beni, come ripetutamente ribadito dalla Dottrina sociale della Chiesa.”

In particolare “il dominio dell’uomo sul creato, voluto da Dio, non deve essere dispotico e dissennato. L’uomo deve coltivare e custodire i beni creati.”


Ecco, com’è che l’uomo finora ha coltivato e custodito i beni creati?

Immettendo gas nocivi nell’atmosfera, provocando il buco nello strato di ozono e l’innalzamento della temperatura terrestre, inquinando le acque con i veleni delle grandi industrie, abbattendo gli alberi di intere foreste, depredando, saccheggiando, provocando l’estinzione o la drastica diminuzione di specie animali...

“La verità ti fa male…” cantava Caterina Caselli.

A provare ad aprirci gli occhi ci ha pensato anche il regista Davis Guggenheim, filmando “Una scomoda verità”, film che ha vinto l’Oscar per il miglior documentario, pochi mesi fa.

Il film è incentrato sui dibattiti pubblici tenuti nel corso degli ultimi anni da colui che è stato brillantemente definito “l’ex futuro presidente degli Stati Uniti”, il senatore Al Gore, che ha speso la sua vita in favore della causa ambientalista, promuovendo a più livelli e in più nazioni una campagna di sensibilizzazione nei confronti di un problema molto serio come il surriscaldamento globale.

Servendosi di dati scientifici e statistici incontrovertibili, e ricorrendo anche all’ironia, Gore ci mostra con drammatica efficacia quanto l’uomo sia responsabile dell’attuale condizione climatica del pianeta, e quanto sia pericoloso continuare a ignorare o minimizzare il problema.

L’innalzamento delle temperature medie (lo scorso anno in varie parti del mondo il termometro si è fermato a 52°, in zone che non avevano mai raggiunto una tale temperatura), lo scioglimento dei ghiacciai artici e antartici (che di questo passò avrà conseguenze catastrofiche sull’intero pianeta), la proliferazione di malattie che col caldo si diffondono con più facilità, la scomparsa delle barriere coralline, l’estinzione di specie animali fondamentali per l’ecosistema, l’innalzamento del livello dei mari, l’incremento esponenziale di fenomeni atmosferici estremi (alluvioni, tempeste, uragani). Tutto ciò e molto più non è una previsione futura ma sta accadendo adesso!

Mentre noi ci crogioliamo nei nostri affarucci, sorseggiando coca-cola sdraiati sul divano mentre la tv trasmette i blateranti interventi di bifolchi in mutande che ci strizzano l’occhio, il nostro meraviglioso pianeta sta morendo.

E siamo noi gli assassini.

Mentre facciamo finta di nulla perché “non è un problema mio, ci pensino i governi a fare qualcosa!” oppure “siete i soliti catastrofisti esagerati, la situazione in fondo non è così grave!”, tutto ciò che conosciamo e amiamo sta per scomparire, e nel giro di una cinquantina d’anni potremmo trovarci a rimpiangere quel mondo che oggi tanto inconsapevolmente stiamo contribuendo a distruggere.

Guardare film come “Una scomoda verità”, interessarsi all’argomento, aprire finalmente gli occhi su ciò che accade, contribuire a salvare il pianeta, non sono solo dei passatempi opzionali, ma delle scelte morali che abbiamo il dovere di compiere.

Altrimenti i nostri figli e nipoti avranno tutto il diritto di guardarci come dei “mostri insensibili” che hanno consegnato loro le chiavi di un mondo invivibile.


Nota a margine: per renderci conto dei cambiamenti in atto, non ci vuole poi una mente così geniale. Basterebbe osservare con più attenzione ciò che avviene a un metro di distanza dal nostro naso.

Ad esempio, ieri sistemando l’armadio ho guardato con un filo di malinconia il mio cappotto invernale. Quest’anno non l’ho usato! E’ rimasto lì nell’armadio per un anno intero. Non l’ho uscito nemmeno una volta. Non l’ho indossato.

Perché? Semplice. Perché qui in Sicilia, quest’anno, l’inverno non è arrivato.

L’autunno si è posticipato, la primavera ha anticipato, e l’inverno è semplicemente sparito. Una-due settimane di freddo tiepido, una-due settimane di pioggerellina stitica. Tutto qui. I termosifoni sono rimasti quasi sempre spenti, e il mio cappotto è rimasto nell’armadio.

Quant’erano belle le stagioni, vero?

Quant’era bello aspettare il primo raggio di sole della primavera dopo un rigido inverno!

Lontani ricordi. E preparatevi per un’estate torrida.

Ma io esagero, vero? Eh già, sono solo un catastrofista.

sabato 21 aprile 2007

I figli degli uomini

Uno dei film più sottovalutati (leggi: meno visti dal pubblico) della stagione è I figli degli uomini (Children of men) di Alfonso Cuaròn.

Tratto dal romanzo di P.D. James, il film è ambientato nella Londra del 2027. Da 18 anni non nascono più bambini a causa di una misteriosa infertilità. Gli asili e i parchi gioco sono abbandonati e in disuso, il più giovane abitante della Terra ha (appunto) 18 anni e non ha mai visto una donna incinta, i governi non sono riusciti a venire a capo del mistero.

Senza bambini non c’è futuro e senza futuro non c’è speranza. Così il mondo si è presto “lasciato andare”, tutto è decadente e fuori uso. Le città si sono trasformate in discariche abusive, le opere d’arte sono state distrutte e solo alcuni esemplari sopravvivono nelle mani di facoltosi miliardari, il degrado e la povertà dilagano ovunque, si moltiplicano i gruppi terroristici e gli attentati sono all’ordine del giorno. In questo caos cupo si trova immerso il disilluso Theo (Clive Owen), che sarà chiamato a interpretare la parte dell’eroe riluttante quando gli sarà affidata una missione: portare fuori confine una donna che, miracolosamente, è incinta, e consegnarla a chi può proteggere lei e il suo bambino, unica speranza dell’umanità di sopravvivere all’estinzione.


Sorvolo su due questioni:


1) La ricostruzione del futuro di Children of men è quanto di meno futuristico ci si possa immaginare. E’ stata scelta la strada del realismo (e dello stile quasi documentaristico) e tale scelta si è rivelata vincente: il mondo tra vent’anni non sarà un lussuoso luna park abitato da macchine volanti e persone vestite alla star trek, ma un fatiscente teatro simile alla periferia di Beirut.


2) La regia di Alfonso Cuaròn è straordinaria. I movimenti di macchina, la bellezza delle inquadrature, i piani-sequenza quasi “impossibili” realizzati con tecniche all’avanguardia, lo stile di racconto fluido e armonico, la messa in scena meticolosa e realistica, il movimento impresso alla storia… e la scelta di attori di primo livello.


Quello che più mi interessa, tuttavia, non è tanto il “testo”, ma il “contesto”. Non ciò che nel film appare in primo piano (l’intreccio, i protagonisti) quanto quello che c’è sullo sfondo. E sullo sfondo appare evidente il problema sociale. Nell’Europa del 2027 gli immigrati sono sistematicamente rispediti al mittente dopo essere stati rinchiusi in gabbie per animali e trattati come bestie. Quelli meno fortunati vengono uccisi. Tornare nelle loro terre significa comunque morire, perché il mondo è allo sfascio. Il governo invita i cittadini a denunciare i clandestini e consegnarli alle autorità (campeggiano centinaia di scritte in tal senso sui muri delle città), i posti di blocco sono uno dietro l’angolo. C’è chi si oppone a questa “chiusura” da parte del governo, ma l’unica arma che ha a disposizione è l’uso della forza. Assistiamo così a violenti scontri e ad attentati terroristici continui.

Ecco, la questione che appare evidente a chi gli occhi ce li ha e li usa (i primi sono molti, i secondi pochi) è che il futuro immaginato dal film non è una possibilità tra tante, ma è la più plausibile delle possibilità. Basta vedere cosa accade già oggi agli immigrati, a come viene trattato il problema dell’immigrazione, a quale fine fanno i clandestini che per sfuggire alla carestia o alla siccità o alle guerre civili si imbarcano su barche della speranza con cui (Caronte-traghettatore permettendo) tentano di raggiungere la salvezza sulle coste dei paesi ricchi. Che ci piaccia o no, l’emigrazione è un fenomeno destinato ad aumentare. E vista la “lungimiranza” dei governi occidentali, la loro inadeguatezza nell’affrontare il problema, e la tendenza dell’essere umano contemporaneo all’indifferenza nei confronti dell’altro e alla discriminazione nei riguardi del diverso, non è difficile immaginare che gli scenari futuri siano piuttosto foschi. Poi è chiaro che quando la misura è colma e le soluzioni alternative si rivelano inefficaci, l’uomo da sempre ricorre alla forza per risolvere i problemi. E la forza genera ancora più paura e diffidenza, e la paura genera altra violenza, e la violenza – alimentata dall’odio – non può che portare a lungo termine all’autodistruzione.

Chi pensa che queste tesi siano catastrofiste, appartiene alla folta schiera di coloro che si ostinano a giocare a fare i ciechi pur essendo dotati di occhi per guardare.

Children of men ha il merito di ricordarci che, oltre il nostro giardinetto piccolo borghese e pseudo moralista, c’è un mondo che si sta incamminando a passi svelti verso il baratro, e quello che oggi è un film di fantascienza domani sarà realtà se ognuno di noi non si sbraccia per cambiare lo status quo.

Non è un’impresa titanica cambiare il mondo. Basta cominciare da piccoli passi. Il primo è ricordarsi di vedere ciò che accade. Il secondo è prenderne coscienza. Il terzo è informare la gente su ciò che abbiamo visto, e invitarla a vedere.


Nota a margine: sullo splendido DVD del film (edizione a due dischi della Universal), si trova, tra le altre chicche, un documentario del regista che ha intervistato filosofi, critici e intellettuali sui temi sociali trattati dalla pellicola. Un’illuminante percorso di conoscenza e coscienza.








martedì 17 aprile 2007

News dal mondo di Truman

NEWS.
L’ex Presidente del consiglio Silvio Berlusconi, colto in fallo dalla moglie mentre apparecchiava la tavola per la cena, ha ammesso: “E’ vero, ho sbagliato. Il coltello va messo a destra e la forchetta a sinistra.”
Nell’edizione serale del Tg4 Emilio Fede ha commentato: “L’ammissione di colpa del Cavaliere evidenzia la sua grandissima umiltà. In un mondo governato dall’arroganza ammettere con sincerità i propri sbagli non è da tutti. Propongo l’avvio del processo di beatificazione.”

NEWS.
Arnold Swarzennegger, governatore della California, non solo ha concesso la grazia a un condannato a morte che sarebbe stato giustiziato tra una settimana, ma ha deciso di sospendere ogni esecuzione capitale fino a quando rimarrà in carica. Intervistato su questa inattesa presa di posizione ha dichiarato: “Legalizzare l’omicidio è barbaro e disumano. Lo stato non può arrogarsi il diritto di togliere la vita a una persona, chiunque essa sia. Lotterò affinché la pena di morte sia abolita dal nostro Paese, perché una nazione che si dichiara democratica e civile non può tollerare di abbassarsi ai livelli dei peggiori delinquenti.”


venerdì 13 aprile 2007

Il mondo di Truman

Nel 1998 esce nelle sale di tutto il mondo “The Truman show” (scritto da Andrew Niccol, diretto da Peter Weir).
Truman Burbank vive nella tranquilla e pacifica cittadina di Seaheaven.
Ha una moglie premurosa, degli amici simpatici, dei colleghi disponibili.
Tutto è perfetto e uguale a se stesso. In città non esistono conflitti, rivalità, invidie, problemi. Le giornate scorrono incolori e pacifiche.
Ma il mondo idilliaco di Truman è una bufala, un’impostura, una finzione.
Truman è il protagonista inconsapevole di una soap-opera in cui tutti quelli che conosce sono attori che recitano una parte.
La sua vita va in onda 24 ore su 24 e penetra nei salotti degli spettatori di tutto il mondo, mentre albe e tramonti costruiti al computer e un cielo di plastica scandiscono la sua esistenza costruita sull’inganno.
Ma Truman capisce e si ribella.
Il suo mondo perfetto e patinato, dove tutto è rassicurante e ipocritamente giusto, non vale la rinuncia alla conoscenza della verità, per quanto crudele possa essere.

Di fronte alla verità, spesso anche noi preferiamo rintanarci in un set televisivo che chiamiamo vita. Costruiamo attorno a noi un mondo di rassicuranti bugie. Scandiamo le nostre giornate al ritmo di albe e tramonti artificiali.
Il nostro “Truman show”, la nostra “Seaheaven”, il nostro mondo perfetto filtra per noi le notizie che vorremmo ascoltare.

Ma la verità è altrove. La verità, come direbbe Fox Mulder, è là fuori.



giovedì 5 aprile 2007

La superbia e la croce

[152] Dice il Signore: " Non sono venuto per essere servito ma per servire". Coloro che sono costituiti in autorità sopra gli altri, tanto devono gloriarsi di quell'ufficio prelatizio, quanto se fossero deputati all'ufficio di lavare i piedi ai fratelli. E quanto più si turbano se viene loro tolta la carica che se fosse loro tolto il servizio di lavare i piedi, tanto più mettono insieme per sé un tesoro fraudolento a pericolo della loro anima.

[153] Considera, o uomo, in quale sublime condizione ti ha posto il Signore Dio, poiché ti ha creato e formato a immagine del suo Figlio diletto secondo il corpo e a similitudine di lui secondo lo spirito.

[154] E tutte le creature, che sono sotto il cielo, ciascuna secondo la propria natura, servono, conoscono e obbediscono al loro Creatore meglio di te. E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo crocifiggi quando ti diletti nei vizi e nei peccati. Di che cosa puoi dunque gloriarti?

Infatti se tu fossi tanto sottile e sapiente da possedere tutta la scienza e da saper interpretare tutte le lingue e acutamente perscrutare le cose celesti, in tutto questo non potresti gloriarti; poiché un solo demonio seppe delle realtà celesti e ora sa di quelle terrene più di tutti gli uomini insieme, quantunque sia esistito qualcuno che ricevette dal Signore una speciale cognizione della somma sapienza.

Ugualmente, se anche tu fossi il più bello e il più ricco di tutti, e se tu operassi cose mirabili, come scacciare i demoni, tutte queste cose ti sono di ostacolo e non sono di tua pertinenza, ed in esse non ti puoi gloriare per niente; ma in questo possiamo gloriarci, nelle nostre infermità e nel portare sulle spalle ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù Cristo.

dalle Ammonizioni di San Francesco d’Assisi

lunedì 2 aprile 2007

Sul senso di colpa

Se c’è una cosa che trovo insopportabile è il senso di colpa. Sentirmi in colpa per un errore, una mancanza, una negligenza grave mi opprime, mi soffoca, mi tormenta. Il vero senso di colpa è sempre emozionale, viscerale, e mai razionale. Ti parte dallo stomaco e si diffonde in tutto l’organismo. E’ un cancro che ti divora, e ti annienterebbe se non ci fosse il perdono a salvarti. Ecco allora spiegato il detto secondo cui “la maggior punizione per chi commette un crimine è l’averlo commesso”.
Mentire, fare del male, mancare in qualcosa, riconoscere di essere la fonte del disagio o del dolore altrui è una punizione in sé terrificante. Ma sono tutti a provare questo senso di colpa, il cosiddetto rimorso di coscienza per il male commesso?
Il vero senso di colpa è raro. Io lo provo in rare occasioni. Ciò che gli assomiglia, e che si prova quotidianamente, è il dispiacere per aver commesso un errore, una mancanza, un peccato che tuttavia il nostro cuore/organismo non ritiene così grave da farci stare male fisicamente (come avviene col senso di colpa). A me dispiace di aver sbagliato, di essere stato negligente, di avere fatto qualcosa che non dovevo fare. Ma questo tipo di dispiacere è del tutto razionale. Io comprendo che quel che ho fatto non era giusto. Riconosco di avere sbagliato. Mi pento per l’errore commesso. Mi riprometto di non commetterlo più. Il dispiacere provoca una reazione positiva (imparare dal mio errore per non ripeterlo). Ho elaborato a livello puramente razionale l’errore commesso, e ne ho ricavato un beneficio. Ma il mio stomaco, per rendere l’idea, non è interessato dal processo. Ben diverso è il senso di colpa, che è talmente violento a livello psico-fisico da non lasciarmi nemmeno il tempo per razionalizzarlo. Mi fa venire voglia di sparire e sprofondare, di fustigarmi e chiedere perdono fino alla fine dei miei giorni, mi fa stare male.
E’ proprio questo il senso di colpa di cui è piena la vita dei santi. San Francesco, ad esempio, era spesso assalito dal senso di colpa nei confronti di Dio, verso il quale si sentiva mancante e irriconoscente. Egli davvero sentiva di essere colpevole nei confronti del Padre, e chiedeva il suo perdono e la sua misericordia. Provava spesso quel senso di colpa che io provo raramente. Inoltre il mio senso di colpa si limita alla sfera umana, e più ancora alla mia famiglia. Quando mai invece ho provato autentico senso di colpa nei confronti di Dio? Nei suoi riguardi provo dispiacere quando lo trascuro, dispiacere quando gli faccio mancare la mia riconoscenza, dispiacere quando lo ignoro. Mi dispiaccio, ma non provo dolore per la colpa commessa. Confesso i miei peccati, ma il mio cuore/stomaco non li reputa mai così gravi da farmi desiderare una punizione per espiarli. Tutto avviene a livello razionale, laddove giudico i miei peccati, ne ricerco le cause, mi riprometto di non commetterli più. Ma Dio è tristemente distante in questo processo, poiché il mio sano timore nei suoi confronti è assente. Forse è presente a livello inconscio, forse il senso di colpa si manifesta in altri modi, ma io non arrivo a sentirlo, se non come eco lontana.