sabato 30 giugno 2007

Forestali piromani e Becchini serial-killer

Secondo la Protezione civile il 90% degli incendi di questi giorni sono di natura dolosa. Gran parte dei focolai sembra siano stati appiccati dai forestali stagionali! Quella che sembrerebbe una contraddizione in termini ha in realtà una sua macabra logica, se si considera che, secondo le leggi attuali, i forestali stagionali vengono assunti in base al numero di incendi. Ergo: più incendi ci sono più alte sono le probabilità di essere assunti. E’ ovvio che tutte le persone sprovviste di senso civico, senso del dovere, altruismo e amore per la natura, ma in compenso dotate di un minimo di furbizia, facciano il seguente ragionamento:
Se PIU’ INCENDI = PIU’ ASSUNZIONI allora mi basta appiccare qualche focolaio per essere assunto!
Detto, fatto. Torce e accendini in mano, questi esseri umani (?) di cui mi vergogno di essere fratello se ne sono andati in giro per i boschi e le montagne dando fuoco a tutto quello che incontravano. Lo scirocco ha fatto il resto.
Alcuni (pochissimi) sono stati colti sul fatto e arrestati. Tutti gli altri l’hanno fatta franca. Per la rabbia di noi cittadini indifesi e dei loro colleghi, i tanti forestali onesti.
E’ triste pensare che l’uomo abbia davanti agli occhi, anziché i prosciutti (come si suol dire) banconote da 10, 20, 50 euro. Siamo disposti a tutto pur di guadagnare soldi, ci facciamo scudo con le teorie di Machiavelli sul fine che giustifica i mezzi, calpestiamo con serafica tranquillità diritti, doveri, responsabilità. Non ce ne frega niente: basta che ci danno i soldi!
E pensavo: ma dove finiremmo se, dopo i FORESTALI PIROMANI, altre categorie lavorative prendessero spunto da questa trovata? Immaginate GLI AVVOCATI ASSASSINI, che vanno in giro ad eliminare una discreta quantità di persone per poter lavorare poi ai processi. Oppure I MEDICI VIRUS che di proposito fanno ammalare i pazienti per poi poterli curare. O I MECCANICI SABOTATORI che di notte guastano le auto per poi poterle riparare il giorno dopo. O i BAGNINI ANNEGATORI, che ogni tanto cercano di fare annegare qualcuno per poi poterlo salvare. O I BECCHINI SERIAL KILLER, che in mancanza di materia prima fanno una strage per avere il lavoro assicurato. E potrei continuare per due ore, ma non voglio fornire idee a qualche squilibrato che mi legge.

mercoledì 27 giugno 2007

Giornate apocalittiche

Lunedì 25 giugno 2007. Mi alzo dopo una notte insonne passata ad agitarmi nel letto cercando di sconfiggere il caldo. Apro il balcone sperando di trovare un po’ di refrigerio, e vengo letteralmente assalito da un’ondata di calore inverosimile. Uno scirocco incredibile stringe nella morsa l’intera città. Riesco a stare fuori solo una manciata di secondi: mi arrivano in faccia vampate di fuoco che mi tolgono il respiro. Qui ce ne intendiamo di scirocchi, ma una cosa del genere non l’avevo mai vista. Respirare fuori è praticamente impossibile, il vento caldissimo mi impedisce pure di pensare. Mi pare di prendere a fuoco, e mi sento come Ghost Rider, con il corpo circondato dalle fiamme. Torno dentro e chiudo il balcone. Tutta la casa è chiusa, sigillata, per non fare entrare il caldo africano. Ma ben presto le stanze si trasformano in camere di tortura. Non ho condizionatori d’aria, il ventilatore smuove solo aria calda, sono spacciato. Se esco fuori muoio sul colpo, se rimango dentro muoio lentamente prima del tramonto.
In teoria di questi tempi dovrei trovarmi nella casa di campagna, dove c’è più fresco, ma al momento sono impossibilitato a trasferirmi. La zona è infatti stata presa d’assalto da un numero imprecisato di zanzare tigre, e occorre fare la disinfestazione. Inoltre, un incendio ha semidistrutto parte dei tubi che portavano l’acqua alla casa, e quindi là starei senza acqua. E stare senza acqua con questo caldo equivale a un suicidio. Perciò rimango qui, per il momento.
Mi affaccio alla finestra della cucina e vedo il monte San Calogero avvolto dalle fiamme. Per la verità le fiamme non si vedono, ma si vede il fumo. In almeno una decina di zone fumi densi e grigi si innalzano, sospinti dal vento. Per tutta la mattinata un canadair fa avanti e indietro tra il mare (dove prende l’acqua) e il monte (dove la getta sopra gli incendi). Io assisto alla scena - che si ripete infinite volte – passando da una finestra all’altra. Ma lo scirocco prosegue, e gli incendi non si spengono.
Dopo aver superato indenne la mattina, mi appresto ad affrontare il pomeriggio, pensando che peggio di così non possa andare. Ma ben presto mi accorgo che può sempre andare peggio, allorché, intorno alle cinque del pomeriggio, se ne va la luce. Ora, non so dove sia andata (forse a fare un pic-nic in Groenlandia), fatto sta che l’intero palazzo, anzi l’intero quartiere, è privo di elettricità. Io non mi preoccupo più di tanto. C’è ancora la luce solare: posso leggere un libro, studiare e scrivere sul computer portatile. Inoltre sono convinto che entro un’oretta al massimo il problema verrà risolto.
Due ore dopo, alle 19, comincio a ricredermi. La luce manca ancora e, come se non bastasse, la batteria del portatile si è scaricata e sono costretto a spegnerlo. Inoltre, scalogna nera, mi accorgo che manca pure l’acqua (e sto sudando come uno svedese nel Sahara). L’idea che tutto il quartiere sia nelle mie stesse condizioni non mi consola per niente. Piuttosto comincio a maledire in sette lingue tutte le persone che hanno un condizionatore d’aria in casa, che lo usano giorno e notte anche quando non c’è bisogno (fregandosene dell’inquinamento ambientale), che per puro egoismo personale ogni anno provocano un sovraccarico della rete elettrica con conseguente black out generale, di cui pagano le conseguenze non solo loro ma anche tutte le buon’anime che condizionatori non ne hanno. Poi, sbollita la rabbia, penso che c’è ancora luce solare; perciò cerco di rilassarmi e sperare che risolavano al più presto il problema.
Quando, alle 20 e 35, il sole tramonta, comincio a farmi prendere dal panico. Sono bloccato in casa con le finestre chiuse senza poter scrivere al computer, guardare la televisione, ascoltare la radio (naturalmente tutte le batterie sono scariche…), sciacquarmi la faccia, a una temperatura media di 35 gradi all’ombra. E la luce solare ben presto sparirà, impedendomi così perfino di leggere!
Le notizie che arrivano dall’Enel sono sconfortanti. A causa di un grave guasto causato dal forte caldo e dal sovraccarico provocato dall’eccessivo consumo di energia, diverse zone della provincia sono al buio. E non si sa quando il problema verrà risolto!
Un’ora dopo sono immerso nel buio, e mi faccio strada per i corridoi di casa grazie alla luce lunare. I surgelati stanno inesorabilmente “morendo”, l’acqua del frigorifero pare che sia stata messa in forno per quanto è calda, gli incendi sul monte San Calogero ora sono visibili nella loro spaventosa vastità. Parlo al telefono con gente che è stata fuori, nell’inferno di questo lunedì di giugno, e mi racconta episodi allucinanti. Temperature che superano i 50°, gente che sviene per strada, ambulanze che si incrociano con camion dei pompieri che non sanno dove andare prima, automobili diventate prigioni di fuoco con le cinture talmente bollenti da non poter essere messe, persone rimaste chiuse nell’ascensore o costrette a farsi 11 piani a piedi per la mancanza di elettricità, ospedali aperti solo per le emergenze, case di campagna letteralmente distrutte da incendi spaventosi, boschi incendiati, gelaterie costrette a buttare gelati e dolci a causa del black out, semafori spenti con conseguente traffico in tilt e incidenti vari, donne costrette a togliersi gli orecchini perché diventati incandescenti…
Alle 21 e 30 io ceno al lume di una lampada a risparmio energetico alimentata da una batteria. Ogni tanto mi affaccio fuori per vedere se lo scirocco è passato ma ogni volta torno dentro deluso. Soltanto mezz’ora dopo, quando le speranze sono quasi svanite, torna l’elettricità. Fiat lux.
E io penso che mentre vivevo questa normale giornata apocalittica, in Antartide lastre di ghiaccio di decine di chilometri si staccavano dal continente per andare a sciogliersi alla deriva. E che quest’anno, dalle mie parti, l’inverno semplicemente non c’è stato. E che giornate come questa, che oggi sono l’eccezione, ben presto potrebbero diventare la regola. E che gente come George W. Bush continua a ripetere che i cambiamenti climatici non sono un problema urgente, e che è disposto a fare qualcosa a riguardo, forse, tra una decina d’anni. Tanto lui ha il condizionatore d’aria che tiene acceso ventiquattr’ore su ventiquattro e quando se ne va la luce usufruisce del gruppo elettrogeno, e se le coste dei continenti venissero sommerse dalle acque state certi che lui starebbe ben al sicuro in qualche residence a cinque stelle ben protetto. E così sia.

P.S. : Avrei dovuto mettere questo articolo sul blog ieri, martedì 26 giugno. Non l’ho potuto fare perché anche ieri è mancata l’energia elettrica. Se n’è andata la mattina ed è tornata alle 21 e 30 di sera! Intanto si contano, a causa dell’afa, 3 morti in Sicilia e 43 in Europa. E il monte San Calogero è letteralmente andato “in fumo”.


giovedì 21 giugno 2007

Tremendi sotto il cielo

L’articolo che state per leggere è stato scritto dal critico cinematografico Aldo Fittante ed è apparso qualche tempo fa su FilmTv. Siccome molti di voi non comprano FilmTv (Padre perdonali, perché non sanno quello che si perdono!) ve lo faccio leggere qui. Buona lettura.

Più che un fantasma è un incubo che si aggira per la nostra società malata, omologata, furba, devitaminizzata. Quest’incubo si chiama Adolescenti. Età variabile dai 12 ai 25 anni, e unico feticcio possibile: il telefonino. Il cantore di questa tremenda metastasi che ormai abbraccia quasi tutti i figli dei figli dei figli dei fiori si chiama Federico Moccia, classe 1963, romano, sceneggiatore per il cinema (?) e «autore – riportiamo testualmente dal suo sito – di testi per grosse produzioni dell’area intrattenimento» (ora si capiscono molte cose). E’ diventato miliardario con tre libri (?): Tre metri sopra il cielo, Ho voglia di te e il recentissimo Scusa ma ti chiamo amore. I primi due sono diventati film (?): il primo, in sala, fu un flop ma si rifece in dvd diventando di culto; il secondo sta per uscire e ha come protagonista Riccardo Scamarcio, star di entrambi. La leggenda racconta che Tre metri sopra il cielo (per gli adepti TMSC) cominciò a circolare in alcune scuole di Roma sotto forma di ciclostilato. Ora: non abbiamo nessuna nostalgia dei ciclostilati degli anni della Contestazione, ma – come direbbe Totò – ogni limite ha una pazienza. Anche per le leggende metropolitane. Leggere questi romanzi (?), così come i blog applicati e le scritte sui muri dalle parti del Ponte Milvio, dove centinaia e centinaia di coppie hanno deturpato il paesaggio secolare agganciando altrettanti lucchetti ai pali della luce e buttando la chiave nel Tevere (il caso sta scatenando risse persino in Campidoglio, con la giunta veltroniana che giustamente non ne può più e la destra che cavalca “la protesta dei gggiovani”), assistere in definitiva a questo festival del sentimentalismo più retrivo e scontato, dove la poesia è assente perché la poesia è sentimento e nient’altro, mette i brividi, anzi: fa paura. Fa paura guardare una puntata di Amici di Maria De Filippi (la madre di tutti i mali) dove il pianto ha sostituito la capacità di intendere di volere e di valere e il gossip privato ha preso il sopravvento su un qualunque discorso attraversato dal senno. Fa paura andare al cinema e verificare gli esauriti delle sale dei multiplex dove proiettano Notte prima degli esami oggi, come già scritto da queste colonne un film di destra, qualunquista, becero, dove si assiste all’apologia del tradimento del maschio latino (un Panariello imperdonabile) e dove i ragazzi si divertono a gareggiare in cucinate. Sono diventati tutti scemi e il rincoglionimento ha contagiato il 90% di quella popolazione che, un giorno, dovrà sostituire le classi dirigenti, i professionisti, gli impiegati e gli operai di questo incredibile, malandato Belpaese. Tornado di lacrime, quintali di abbracci, il tifo calcistico usato come succedaneo a qualsiasi altra emozione, padri e madri messi nell’angolo, e orgogliosamente reattivi solo quando c’è da menare un professore che ha sequestrato il cellulare al loro povero, strafottente figliolo. Un dramma che, se vi dovesse capitare la sciagura di inciampare nell’imminente Lezioni di volo di Francesca Archibugi, aumenterebbe in maniera esponenziale. Perché il cuore del problema è il vuoto pneumatico, l’ignoranza, la totale mancanza di lucidità intellettuale di questi ragazzi di oggi, siano a destra o a sinistra, si chiamino Step o Gin o Pollo o Curry.

Aldo Fittante

Aggiungo una postilla personale riguardo al bieco fenomeno dei lucchetti che si sta diffondendo in tutta Italia. L’altro giorno ne ho trovato uno su una panchina pubblica di Palermo. Agganciato alla spalliera, impediva di appoggiare la schiena in quel punto. Sul catenaccio incriminato c’erano due nomi scritti col pennarello (non ricordo se fossero Giorgio e Nadia, Filippo e Cristina, Vattelappesca e Clementina, ma non importa). Il fatto è che io proprio non capisco il significato ultimo del gesto. Voglio dire, ci sono due bambocci quattordicenni che vogliono giurarsi il loro eterno ammmore con un gesto folle e definitivo (i poveretti ancora non sanno che l’amore si esprime giorno per giorno con piccoli gesti apparentemente insignificanti, ma non è colpa loro). E allora, sull’onda della Mocciamania scrivono i loro nomi su un catenaccio e poi lo appendono da qualche parte (ovviamente in un luogo pubblico). Il fatto è che non si rendono conto (o perché sono proprio rimbambiti o perché sono distratti) che il CATENACCIO, da che mondo è mondo, è simbolo di prigionia, schiavitù, chiusura. Sigillare il loro amore in un catenaccio equivale dunque a dire che l’amore è una prigione che schiavizza la persona amata e si chiude al mondo esterno. E’ terribile, ma è proprio il concetto d’amore che hanno questi ragazzi, dove la persona amata deve essere posseduta, e diventa una proprietà privata; dove bisogna sempre stare assieme e portarsi il compagno/a appresso, mano nella mano, come un cagnolino col guinzaglio; dove la coppia si chiude in una dimensione tutta sua che esclude completamente gli altri. Eccolo l’amore cantato al tempo dei mocciosi, due nomi buttati in una prigione chiusa da una catenaccio. Qualcuno di buona volontà dovrebbe recuperare le chiavi buttate e aprire i lucchetti liberando questi poveretti dalla loro schiavitù.

domenica 17 giugno 2007

I detrattori

Parlare male degli altri è facile. Soprattutto se sono assenti. In certi ambienti è una tradizione di famiglia. In altri rappresenta una sorta di pass per accedere al potere o al rispetto degli altri. In Italia è uno sport sempre di moda.
Parlare male degli altri ci consente di ravvivare conversazioni asfittiche. Quando ci troviamo a cena con amici, a un pranzo di lavoro, su un treno o in autobus, e la conversazione langue, basta tirare fuori qualche maldicenza e subito l’attenzione si ravviva. Se poi la maldicenza ha per protagonista sempre la stessa persona (diciamo il bersaglio più facile), è ancora meglio. Se poi la condiamo con particolari inventati e la gonfiamo con parole enfatiche il successo è garantito!
Parlare male degli altri ci fa sentire superiori, perché è scontato che noi non facciamo mai quello che critichiamo negli altri. Perché gli altri, quelli che critichiamo, si sono comportati veramente male e sono arroganti, presuntuosi, vigliacchi, invidiosi, intolleranti, avidi, bugiardi. Noi non lo siamo. Noi siamo perfetti o quasi. Ma gli altri invece… che gentaglia!
Parlare male degli altri con persone che parlano male degli altri ci fa sentire parte di una grande tribù. Io butto l’amo raccontandoti una certa cosa fatta da una certa persona. Tu abbocchi e ne tiri fuori un’altra. Allora a me improvvisamente viene in mente che quella persona è recidiva, perché quella cosa l’aveva fatta già tre anni prima. A te non pare vero di parlare dei misfatti del passato, e così te ne esci con altri tre-quattro aneddoti interessanti. Poi io proseguo con un paio di pettegolezzi non confermati e tu continui con una “voce di corridoio” che hai captato chissà dove. E nel frattempo non ci siamo resi conto che da più di mezz’ora stiamo parlando male di una persona, dipingendola come un essere spregevole, egoista e…
Parlare male degli altri ci fa sentire migliori. Gli altri di cui parliamo male sono sempre più fessi, ingenui, sciocchi. Sin dalle scuole elementari siamo educati a prendercela con il più fragile della classe, quello che quando lo sfottiamo non reagisce, quello che quando gli spezziamo la matita non si vendica spezzandoti la tua, ma ti chiede con quell’aria sperduta perché l’hai fatto, e al massimo lo va a dire alla maestra. Ce la prendiamo con gli sciocchi per sentirci più intelligenti di loro, più virili di loro, più esperti di loro, più preparati alla vita di loro. Parlare male di loro con gli altri amici ci diverte, ci rassicura, ci fa sentire importanti.
Parlare male degli altri, quando sappiamo che sono persone migliori di noi, ci consente di avere un potere su di loro. Abbiamo il potere di distruggerli, di gettare fango sulle loro vesti immacolate, di destituirli agli occhi della gente. Perché, alla lunga, parlare male di quelle persone di cui tutti parlano male, ci stanca. Ma parlare male di quelle persone di cui tutti parlano bene può essere molto appagante. Supportati da quel potentissimo alleato che è l’invidia, ci scateniamo in cattiverie gratuite alimentate dalla nostra fervida fantasia. Facciamo diventare il generoso un opportunista, il santo un diavolo, l’umile un orgoglioso, il benefattore un egoista. E scopriamo di trovare terreno fertile nell’invidia altrui. Infatti l’hobbie preferito dalla mediocrità è sparare sul genio. Lo sport più praticato dall’ignoranza è il tiro a segno sull’intelligenza. Chi vale più di noi non deve prevalere, quindi noi lo buttiamo giù, e lo facciamo con l’unica arma a nostra disposizione: la parola. Sappiamo che la nostra maldicenza si propagherà come uragano inarrestabile, e l’esserne la fonte ci inorgoglisce. Quando ci comportiamo così ci trasformiamo in detrattori (vedi citazione di S. Francesco in basso).
Chissà perché non parliamo mai male di coloro che ci possono dare qualcosa, di coloro che detengono il potere su di noi, di coloro di cui dobbiamo possedere la stima per riceverne in cambio favori, soldi, posizioni. O di coloro che ci fanno paura, perché sono bulli, mafiosi, corrotti. No, meglio prendersela con chi ci fa antipatia, con gli stupidi, con chi è migliore di noi.

San Francesco consigliava di non dire mai di una persona assente cose che non diremmo se la persona fosse presente. Riavvolgendo il nastro della mia vita mi sono reso conto che quasi mai ho messo in pratica questo consiglio.


A questo riguardo ripeteva spesso Francesco: "Il detrattore dice così: - Mi manca la perfezione della vita, non ho il prestigio della scienza, né doni particolari: perciò non trovo posto né presso Dio né presso gli uomini. So io cosa fare: getterò fango sugli eletti e mi acquisterò il favore dei grandi. So che il mio superiore è un uomo e alle volte fa uso del mio stesso metodo, cioè sradicare i cedri perché nella selva grandeggi unicamente il pruno. Miserabile!, nutriti pure di carne umana e rodi le viscere dei fratelli, giacché non puoi vivere diversamente! ". Costoro si preoccupano di apparire buoni, non di diventarlo, accusano i vizi altrui ma non depongono i propri. Sanno soltanto adulare quelli, dalla cui autorità desiderano di essere protetti, e diventano muti quando pensano che le lodi non raggiungano l'interessato. Vendono a prezzo di lodi funeste il pallore della loro faccia emaciata, per sembrare spirituali, in modo da giudicare tutto e non essere giudicati da nessuno. Godono della fama di essere santi, senza averne le opere, del nome di angeli ma non ne hanno la virtù.

Fonti francescane 770. Dalla vita seconda del Celano (biografia di san Francesco)

giovedì 14 giugno 2007

Lettera di Paris Hilton

Ho ricevuto questa lettera ieri.
Per correttezza nei confronti dei lettori del blog mi è sembrato giusto pubblicarla.
Dopo averla letta capirete perché questo è probabilmente l’ultimo post del mio blog.

(Molto poco) caro sign. Catanzaro,
le scrivo questa lettera perché profondamente offesa dalle parole calunniose presenti nel suo post “Barbie l’ereditiera e le mie prigioni”.
Lei non ha alcun diritto di ironizzare sulle mie tristi vicende, di gettare fango sulla mia onorata carriera, di fare insinuazioni sul mio integerrimo comportamento.
Ma come si permette di paragonarmi a quella smorfiosa di Barbie? Quella sì che ha campato una vita senza fare niente! Certo, poi le hanno fatto il matrimonio combinato con quel cretino di Ken (anche se è un bel fusto, lo ammetto) però mica si può lamentare!
Lei dice che io faccio la bella vita e non lavoro?
Non è vero! Io lavoro eccome! Ma se l’immagina quanto è faticoso organizzare tre cocktail party a settimana, dovere preparare la lista di tutti gli invitati (poi ci pensa la mia addetta alle telefonate a chiamarli), e poi dover rispondere alle domande dei centinaia di addetti alla preparazione della festa?
Io sto lì tranquilla, nella mia vasca da bagno, dopo aver faticato mezz’ora per riuscire ad attivare l’idromassaggio, e dall’altra parte della porta mi chiedono cose del tipo:

“Scusa Paris, ma devo ordinare 600 bottiglie di Martini o solo 550?”
“Scusa, Paris, ma è consigliabile invitare sia Tom Cruise che Nicole Kidman, visti i precedenti?”
“Mi scusi, miss Hilton, ma quale vestito devo far ritirare dalla sartoria, il Versace comprato ieri o il Valentino che ha messo alla festa di una settimana fa?”

Sono domande difficili, perdindirindina! Ma io sono costretta a rispondere.
Tutti dicono che non lavoro, ma lei lo sa che fatica andare in giro tutto il weekend a fare shopping, che poi magari una si confonde e compra pure due vestiti uguali!
E la scelta su quale, tra le duemilassettecentoquaranta scarpe nell’armadio, mettere la mattina, non è uno sforzo?
E poi sono pure costretta a rilasciare decine di interviste. Non lo chiamate lavoro, questo?

Ho fatto un sacco di lavori pesanti, io: lo spot per quel cavolo di telefonino che è andato in onda anche in Italia, le sfilate di moda (che c’avevo i calli ai piedi a furia di fare avanti e indietro in passerella), il calendario (vorrei vedere voi a stare nudi con gli spifferi che entrano dalle finestre!). Ho anche recitato in un film (era un horror, se non sbaglio).
La mia vita è molto stressante, che crede?
Ad esempio il sabato di ogni settimana il mio avvocato viene da me per farmi firmare delle carte. Io firmo le carte e il giorno dopo scopro che il mio conto in banca è cresciuto. Sì, a me sta bene, ma la mia povera mano che deve firmare ogni sabato rischia di farsi venire seri problemi alle articolazioni!
Insomma, nessuno mi capisce.
Dicono che sono stupida. Non è vero! Anch’io leggo, ogni tanto. A me piacciono tantissimo le riviste di moda femminili, quelle dove ci sono solo fotografie e pubblicità, senza quella scocciatura delle parole. Io so di essere intelligente. Una volta un tizio mi ha fatto una domanda difficilissima, credo che mi ha chiesto quanto fa 2 + 2. E io gli ho dato la risposta giusta! Che gliene pare?
Ma poi arrivano gli sbruffoni come lei che fanno i moralisti e sono pronti a sparare a zero sulla povera gente come me che si deve fare un culo così per arrivare sana di mente a fine mese!
No, non è giusto. Così ho dato mandato al mio avvocato di querelarla. Sì, signor Catanzaro dei miei stivali, ha capito bene: que-re-lar-la! Così le tolgo dalle labbra quel sorriso sornione e le faccio chiudere il suo blog patetico in 24 ore. Basta che faccio una semplice telefonata dal mio carcere di massima sicurezza e lei è un uomo finito.
Siccome sono molto corretta prima di porre fine alla sua miserevole e anonima vita facendole pagare un risarcimento danni per aver leso la mia immagine, ho pensato di avvertirla scrivendole questa lettera.

Indistinti saluti,

Paris Hilton

martedì 12 giugno 2007

Barbie l'ereditiera e le mie prigioni

Poi dicono che uno non deve ironizzare sull’imbecillità umana, perché non si spara sulla Croce Rossa… Ma come si può contenere l’inarrestabile scoppio di risate di fronte a cose del genere?

La storia è arcinota, e qui vi riassumo le tappe salienti.

La bionda Barbie è uno dei misteri della fisica quantistica: non lavora, non deve mantenere una famiglia, non ha nulla da fare durante il giorno. E’ un’ereditiera, quindi può permettersi di grattarsi la schiena e smaltarsi le unghie dei piedi per i prossimi duemila anni.
Vive in una megavilla galattica a Hollywood, utilizza le banconote da un dollaro come carta igienica e si soffia il naso con fazzoletti Dolce & Gabbana.
Siccome contare i soldi e pettinarsi i capelli tutto il giorno è noioso, organizza tre cocktail party a settimana, in cui invita tutti i suoi amiconi vip di mezzo mondo: attori, cantanti, divi della tv, sceicchi arabi.
Per tenersi attiva va a fare schopping una volta a settimana, tornando a casa con quattro furgoni carichi di roba. Ma alla lunga tutto questo stanca.
Così la bionda Barbie decide che è ora di lasciarsi andare. Qualche sniffatina qua e là, un po’ di alcol, e anche un bel filmino a luci rosse da mandare via internet. La popolarità cresce, i giornali parlano di lei, il conto in banca sale. Che pacchia!
Ma Barbie non si accontenta. Così si ubriaca sempre più spesso, nel tentativo di diventare alcolizzata, come tante illustre colleghe. Però non c’è gusto a bere fino all’alba e poi non guidare almeno per una trentina di chilometri! Così Barbie si mette alla guida della sua auto quando ancora i Martini e la Vodka le ballano nel sangue.
Disgrazia vuole che la polizia la fermi. Guida in stato di ebbrezza. Se lei fosse una comune mortale le farebbero qualcosa, ma lei è Barbie l’ereditiera e quindi se la passa liscia.
Passa un po’ di tempo, e Barbie fa la stessa cosa. Poi un’altra volta, poi un’altra ancora.
Finché una sera (vedi come il mondo è crudele) Barbie viene fermata per l’ennesima volta alla guida della sua auto. Ovviamente ha appena finito di scolarsi 347 alcolici vari. Ma stavolta le va a finire proprio male: guida in stato di ebbrezza, ma è recidiva. Scatta perciò il ritiro della patente!
Ma Barbie non si dà per vinta. Non sarà certo una pura formalità burocratica a impedirle di guidare la sua auto da mezzo milione di dollari. Così continua ad andare in giro ubriaca con la sua auto senza patente.
Ma (e qui la malasorte si accanisce proprio su di lei) viene fermata ancora. E stavolta sono guai seri: guida senza patente dopo ritiro per guida in stato di ebbrezza, reato per cui è recidiva.
Tribunale, giudice, sentenza: 23 giorni di reclusione in carcere!
Cosa? Barbie girl l’ereditiera in carcere? Non sia mai!
Ecco che Barbie assolda tutti i più famosi avvocati d’America per risolvere il suo caso internazionale.
“Io non posso finire in prigione!” pare abbia confidato alle sue amiche. “E perché?” “Perché sono io!”
Gli avvocati si attivano, ma sembra che Barbie sia destinata al peggio. Tuttavia ci sono tante strade per evitare il carcere. Consigliata dagli avvocati, Barbie si dà subito da fare. E nell’ordine:

1. Attraverso internet e la tv fa un appello ai suoi fans affinché intervengano per evitarle la galera!
2. Evita, per ben due settimane, di organizzare feste a base di cocaina, ubriacarsi per locali, farsi fotografare senza veli, picchiare le cameriere che si sono scordate di portarle il caviale in camera (così i giudici capiranno che è diventata una “brava ragazza”)
3. Per convincere il giudice che si sta miracolosamente convertendo alla spiritualità si fa fotografare all’interno di una libreria mentre compra un tomo spirituale ispirato alla filosofia buddista, una copia della Bibbia e un libro di psicologia intitolato “Auto-aiuto”.

Ma i giudici non si impietosiscono e, finalmente, Barbie l’ereditiera finisce in carcere. Un carcere di massima sicurezza? No, un istituto penitenziario femminile. Cella di dieci metri quadrati, un comodo letto con lenzuola e un televisore a disposizione!
Ma la bionda Barbie non può reggere a tanta crudeltà. Sbattuta in una cella come una delinquente, lei che è famosa in tutto il mondo per la sua… fama!?
Barbie passa una notte insonne (e ti credo: senza shopping, vasca idromassaggio, party hollywoodiani, che vita è?).
Ma dopo tre giorni avviene il miracolo: Barbie viene scarcerata!
Motivo? Un fantomatico problema medico, certificato dal suo miliardario psichiatra personale. Sui giornali si legge: a causa di un probabile esaurimento nervoso Barbie l’ereditiera ha lasciato dopo appena tre giorni il carcere.
Barbie, a questo punto, chiede gli arresti domiciliari, perché dice che un essere umano non può reggere per ben 3 giorni in una prigione.
Nel suo caso, gli arresti domiciliari dovrebbero essere scontati nella sua mega villa hollywoodiana con piscina e giardino. Sai che disdetta!
Il presidente del sindacato degli sceriffi dice che ha l’impressione che ci sia stato un trattamento di favore nei confronti di Barbie. Ma no, suvvia, ma quando mai!
Poi succede qualcosa d’imprevisto: per la prima volta compare sulla scena un essere raziocinante vagamente dotato di cervello umano. Costui è il capo della Procura di Los Angeles, il quale condanna il teatrino buffonesco che è stato messo in piedi e presenta un appello contro la prematura e ingiustificata scarcerazione di Barbie.
Il giudice gli dà ragione, e condanna Barbie a tornare in carcere.
Lei, straziata dalla notizia, esce dal tribunale urlando: “Non è giusto!” e poco prima di essere portata via si mette a strillare “Mamma! Mamma!”.
Tornata in carcere, passa le ore a frignare e piagnucolare. Non mangia, strepita, fa la capricciosa. Timorosa che i fans la dimentichino, si concede il lusso di fare una chiamata un po’ particolare: contatta una famosa giornalista e si fa fare una intervista esclusiva per telefono.
Poi, il suo amicone psichiatra riesce a convincere il giudice che la sua paziente non può reggere, nelle sue condizioni, in quella cella. Così Barbie viene trasferita all’ospedale del carcere, dove attualmente si trova per scontare la sua pena, in una situazione davvero terribile: sta sola in una stanza ampia con quattro letti e televisore.
Ma di qua alla scarcerazione chissà cos’altro si inventerà Barbie l’ereditiera! E poi, uscita dall’inferno, quanto ci scommettete che pubblicherà un best-seller sensazionale sulla sua esperienza, magari intitolandolo: “Le mie prigioni”?

Bella storiella. Peccato che sia tutto vero. Peccato che Barbie girl abbia un nome e cognome: PARIS HILTON (età: 26 anni. Professione: ereditiera).
Poi dicono che uno non deve ironizzare sull’imbecillità umana…

venerdì 8 giugno 2007

RESETtiamoci il cervello

Ieri sera, al Palasport di Palermo, siamo stati investiti da un fiume in piena lungo 180 minuti. Tanto è durato lo spettacolo di Beppe Grillo, RESET, una mastodontica operazione di riemersione della verità dal fango della disinformazione in cui rimane troppo spesso sepolta.

L’omino di Genova ha mitragliato a ruota libera sul Tronchetto dell’infelicità, Totò Vasa Vasa, Lo PsicoNano altrimenti conosciuto col nome di Truffolo, e poi Globulo e i tanti sindaci, assessori, consiglieri, ministri, sottoministri, parlamentari, imprenditori, banchieri e altre aberranti figure del nostro malato paesucolo da terzo mondo. Di fronte ai dati snocciolati con assoluta precisione e conditi con la consueta ironia, nonostante gli oltre 30 gradi della serata siamo rimasti tutti agghiacciati. Anche coloro che da anni seguono le battaglie di Grillo non possono trattenere, ogni volta, un senso diffuso di malessere. Il paese che esce fuori dallo spettacolo di Grillo è un’Italietta sull’orlo del baratro, primitiva e corrotta fino al midollo.

Siamo un paese dove la gente si ritrova davanti casa tonnellate di immondizia che inondano i marciapiedi, dove per risolvere un problema (lo smaltimento dei rifiuti) se ne crea uno maggiore (gli inceneritori). Dove gli invalidi hanno difficoltà a salire sui treni, i ragazzi con due lauree campano scaricando tir di notte o schiavizzati in un call center, le banche sono strozzini autorizzati che truffano i propri correntisti, i piccoli azionisti non contano nulla e vengono sistematicamente presi per i fondelli, migliaia di persone muoiono sul posto di lavoro, altre migliaia muoiono per problemi ambientali, il traffico è sovraumano, le infrastrutture sono obsolete, nell’aria si respira cocaina, le risorse idriche vengono male sfruttate o appaltate ai mafiosi, le aziende locali vengono saccheggiate dalle multinazionali straniere senza che nessuno dica niente.

Abbiamo 25 parlamentari condannati in via definitiva che siedono sulle loro poltrone, truffatori incalliti che hanno fatto fallire decine di aziende e hanno rovinato migliaia di famiglie che si godono esili dorati, sindaci che pensano di risolvere il problema degli stupri pagando un risarcimento danni alle donne stuprate con tanto di tabella con fascia anagrafica e di reddito, un servizio di trasporto aereo e ferroviario in crisi cosmica, ministri della cultura analfabeti, politici ultra settantenni che parlano con un linguaggio dell’800…

E c’è molto, molto di più da dire. Grillo lo dice. Saltella da un argomento all’altro e sembra venire da un altro pianeta, ma è un essere umano che si sbraccia per informare e portare la conoscenza delle cose a noi, creature cieche e stolte, che facciamo finta di non vedere. Cosicché un giorno noi non potremo dire “Io non sapevo”, ma saremo costretti a dire: “Io sapevo, ma non ho fatto nulla”.

Vogliamo ridurci a dire questo?

C’è un Grillo parlante che ci punzecchia nell’orecchio, vogliamo prestargli ascolto?

Basta un semplice click quotidiano su www.beppegrillo.it. Il resto spetta ad ognuno di noi. RESETtiamoci il cervello, ricominciamo da capo e diamoci da fare!

martedì 5 giugno 2007

News dal mondo di Truman (2)

NEWS.
Osama Bin-Laden si è spontaneamente consegnato ai militari americani. Intervistato dai giornalisti di tutto il mondo, ha motivato la resa con queste parole: “Mi sono macchiato di aberranti crimini contro l’umanità. Ho usato invano il nome di Allah per giustificare atti barbari e disumani che nulla hanno a che vedere con la mia religione e con qualsiasi altra fede. Ho ucciso e ho fatto uccidere, e merito di essere processato e punito. Rivolgo il mio appello a tutti i fratelli che hanno lottato al mio fianco fino ad ora: cessate il fuoco e consegnate le armi. La più grande vittoria sta nel riconoscere i propri errori e accettare di pagarne le conseguenze. Chiedo perdono a tutti, e mi ritiro in silenzio in attesa del processo.”

NEWS.
Centinaia di chiromanti, veggenti, lettori di tarocchi e maghi si sono presentati nella mattinata di ieri in questura, autodenunciandosi per truffa aggravata ai danni di poveri clienti indifesi. “Non abbiamo alcun potere paranormale”, hanno dichiarato. “Abbiamo approfittato della disperazione e dell’ignoranza di tanta povera gente per estorcere loro del denaro.”


NEWS DAL MONDO DI TRUMAN

IL MONDO DI TRUMAN



sabato 2 giugno 2007

Un secondo

Durante la giornata capita a tutti noi di dover prendere migliaia di decisioni, dalla più importante (accetterò la sua proposta di matrimonio?) alla più banale (devo pettinarmi prima di uscire?).

Quello che spesso ignoriamo è che, in qualsiasi circostanza, sono sempre e solo DUE le decisioni che possiamo prendere, due le scelte che possiamo fare, due le strade che possiamo percorrere.

La prima scelta è LA SCELTA EGOISTICA.

La seconda scelta è LA SCELTA ALTRUISTICA.

Non ce ne sono terze, non ci sono vie di mezzo o scappatoie. Siamo chiamati a scegliere tra la prima e la seconda opzione, sempre e comunque.

Quando propendiamo per la prima scelta, facciamo ciò che riteniamo più giusto per noi. Quando optiamo per la seconda facciamo ciò che riteniamo più giusto per gli altri. Il problema è che ciò che è meglio per gli altri quasi sempre non coincide affatto con ciò che è meglio per noi. Allora nasce il conflitto, per sanare il quale siamo costretti a scegliere.

È raro (soprattutto per le scelte di quotidiana amministrazione) avere a disposizione molto tempo per compiere le nostre scelte. Il più delle volte abbiamo a disposizione solo una manciata di minuti o di secondi per prendere una decisione. Quando ci vengono poste delle domande a bruciapelo, quando qualche imprevisto ci costringe a prendere decisioni immediate, quando riceviamo una telefonata inattesa o ci imbattiamo in un incontro fortuito, non possiamo pretendere di riflettere sul da farsi come un filosofo chiuso in una stanza, o di rinchiuderci nella cabina di un quiz magari per chiedere “l’aiutino” da casa. Dobbiamo dire SI’ o NO. Dobbiamo decidere se fare o non fare una cosa. Dobbiamo scegliere tra l’egoismo e l’altruismo.


Se mentre guidi in macchina e hai una fretta indiavolata incroci un autostoppista che ti chiede un passaggio.


Se sei invitato alla festa di un tizio che non sopporti ma che è stato sempre gentile con te e hai tre secondi per accettare o meno l’invito.


Se tua suocera ti chiede di andarla ad accompagnare dal medico proprio mentre stai guardando il Gran Premio finale del mondiale di formula 1 a cui tieni tanto.


Se un amico ti chiede un prestito immediato nel momento in cui hai problemi finanziari.


Se sei seduto sull’autobus, distrutto dopo una lunga giornata, e vedi entrare un’anziana signora che non ha dove sedersi.


Se mentre sei sdraiato in spiaggia vedi un bambino che annaspa al largo e sta per annegare.


Se tua moglie ti chiede di rinunciare a una cosa a cui tenevi particolarmente per farla contenta.


Se il vicino di casa organizza una festa rumorosa per festeggiare il suo cinquantesimo compleanno e tu vorresti chiamare la polizia perché la musica ti impedisce di leggere il tuo romanzo preferito.


In tutte queste circostanze, possiamo scegliere. Egoismo o altruismo. Non ci sono altre vie. Il punto è che, quando dobbiamo prendere una decisione immediata, nove volte su dieci l’istinto ci fa propendere per la scelta egoistica. La nostra prima reazione è quasi sempre egoistica, non si scappa.


L’autostoppista può rimanere dov’è perché IO non ho tempo da perdere.

Alla festa non ci vado perché IO mi annoierei a morte.

Mia suocera può farsi accompagnare da qualcun altro perché IO mi devo vedere il Gran Premio.

Il mio amico dovrà arrangiarsi perché IO non posso aiutarlo.

La signora anziana sarà pure anziana, ma IO sono stanchissimo.

Il bambino sta annegando, ma IO non so nuotare bene e affogheremmo insieme se mi gettassi in acqua.

Mia moglie è capricciosa e IO devo farle capire chi comanda in casa.

Ora chiamo la polizia così quello lì la finisce e IO posso leggere in santa pace.


Ecco probabilmente le nostre prime reazioni. Ecco ciò che il nostro primo istinto ci porta a scegliere. Chi crede che non sia così o non si conosce o è un santo. Escludendo la seconda ipotesi (non me ne vogliate, ma la santità oggigiorno è rara) ci farebbe comodo riflettere sulla prima.

Siamo dunque schiavi del nostro egoismo, incapaci di slanci altruistici, schiacciati dal nostro istinto egocentrico e autoconservatore? Per fortuna no.

Per fortuna (anzi, per scelta) la natura ci ha donato di un meccanismo infallibile (chiamatelo coscienza, senso di colpa, senso della giustizia o come vi pare) che scatta automaticamente, esattamente UN SECONDO dopo che abbiamo preso una decisione egoistica.

Dopo quel secondo, una voce interiore ci urla (raramente è un sussurro, alla voce interiore piace gridare!) che abbiamo commesso un errore, che la scelta che abbiamo istintivamente compiuto è sbagliata, che dobbiamo prendere l’altra strada, quella dell’altruismo, anche se in apparenza essa presenta solamente svantaggi.

E’ in quel momento, lucido e preciso, che capiamo e sappiamo, senza ombra di dubbio, ciò che realmente dobbiamo fare, e cioè:


Fermarci e dare il passaggio all’autostoppista, perché LUI ha bisogno del nostro aiuto.

Accettare l’invito del tizio, perché LUI ha piacere di vederci.

Accompagnare la suocera dal medico perché LEI ce lo ha chiesto.

Prestare quel che possiamo all’amico perché LUI è in difficoltà.

Alzarci e fare sedere l’anziana signora perché LEI ha più bisogno di noi di riposarsi.

Tuffarci in acqua e salvare il bambino perché la SUA vita è importante.

Rinunciare a qualcosa per nostra moglie perché LEI ne sarebbe felice.

Accettare il baccano del vicino perché per LUI è un’occasione speciale.


Una volta che la nostra voce interiore ci ha chiarito il da farsi, può darsi che ormai sia troppo tardi, e che abbiamo già preso la decisione “sbagliata”.

Tuttavia, nove volte su dieci, siamo ancora in tempo per ritrattare e correggere il nostro errore, proprio perché la consapevolezza che sia un errore subentra appunto UN SECONDO dopo l’errore stesso.

A quel punto siamo chiamati ad ingaggiare una lotta furiosa con il nostro orgoglio, il quale è un damerino furbo e seducente che cercherà in tutti i modi di impedirci di rimediare al torto, convincendoci che in fondo la nostra scelta non era del tutto egoistica, che noi abbiamo avuto le nostre buone ragioni per decidere così, che non siamo perfetti e non potremo mai esserlo, che ormai la frittata è fatta…

Se riusciremo a sconfiggerlo, rimedieremo al nostro errore immediatamente. Solo così potremo prendere, finalmente, la decisione giusta. Il sollievo che dopo ci avvolgerà non ha eguali, e chiunque abbia mai sperimentato che l’amore dato è mille volte più forte e meraviglioso di quello ricevuto saprà di cosa sto parlando.

Rinunciare a se stessi per gli altri è molto difficile, ma ogni singolo giorno possiamo farlo, centinaia di volte.


Io, ad esempio, avrei voluto passare il primo pomeriggio a riposare o a leggere. Non mi andava affatto di accendere il computer e scrivere questo pezzo.

Dovevo scegliere: fare quello che volevo, quello che IO desideravo per me, oppure fare qualcosa che poteva essere utile agli ALTRI.

Subito ho deciso che, avendo piena libertà di scegliere, sarebbe stato masochistico rinunciare a ciò che volevo fare. Ho optato per la scelta egoistica.

Poi è passato UN SECONDO.

E dopo quel secondo ho sentito una voce interiore che mi diceva che forse i pensieri che ho cercato di comunicare sopra potevano essere utili a qualcuno.

Così ho accettato la verità che IO avevo torto, e che ero solo il solito egoista. Ma ho anche capito che potevo rimediare, tornare indietro e fare ciò che sentivo era giusto fare.

Ciò che sentivo che era giusto fare l’ho fatto, ed ecco materializzarsi questo lungo e tortuoso pensiero che ho espresso.

Naturalmente tutto questo mi tornerà utile in futuro, perché il bene che facciamo torna sempre indietro moltiplicato per cento. E da ora in poi, prima di prendere qualunque decisione, attenderò quel secondo fatidico. Poi deciderò.