lunedì 17 dicembre 2007

In cima al mondo

"E' tutto diverso da qui. Le città , le nuvole, l'aria che respiro."
"Siamo in cima al mondo, amico mio."
"Se ripenso ai sacrifici che abbiamo fatto per arrivare qui..."
"La ricompensa vale tutta la nostra fatica."
"Sognavo di raggiungere la vetta sin da bambino."
"Io ero già stato qui. Diciassette anni fa. Mi sembra sia passata una vita intera."

giovedì 1 novembre 2007

Rari momenti di consapevolezza

Capita, a volte, che tutto il mondo che noi conosciamo, tutto ciò che noi conosciamo come mondo, sparisca dalla nostra mente. La nebbia si dirada, e di colpo ci ritroviamo affacciati su un panorama che non avevamo mai visto, anche se è sempre stato là, davanti a noi.
Capita che ti ritrovi fuori dal tuo corpo, ma non nel senso che avverti una presenza estranea dentro di te. E’ come se tu, qui ed ora, fossi veramente ciò che sei. Ti ritrovi nudo, e la tua nudità ti consente di entrare in contatto con il mondo in cui vivi. Così puoi lasciarti toccare dal vento, e sentire il suo sapore. E puoi lasciarti toccare dalla luce e respirare il suo odore. Ti trovi in un punto preciso del tempo e dello spazio. Sei collocabile in una determinata posizione geografica. Ma in realtà trascendi queste coordinate, perché tu sei tu, finalmente, assolutamente e magnificamente. E il mondo che guardi, respiri, odori, tocchi è il mondo. Oltre la nebbia, oltre il vuoto, oltre se stesso.
Capita troppe poche volte, ma quando accade… quando accade è come una nuova nascita, è come morire e sentirsi ancora lì.
Io li chiamo rari momenti di consapevolezza.
Può essere qualcosa di apparentemente banale a scatenarli. La visione di un film, la frase letta in un libro, lo sguardo di uno sconosciuto per strada, un sogno ad occhi aperti. Un momento prima eri una persona, un momento dopo sei un altro. Cammini per strada, ma è come se danzassi sul marciapiede. Anzi, i piedi per terra nemmeno li metti, stai sospeso. E cammini, ma non cammini come fai tutti i giorni, col passo rapido di chi deve andare da qualche parte. Perché tu non devi andare da nessuna parte.
Perché tu sei tu. E lo sei ora, qui e adesso.
Ma un momento prima non lo sapevi, e forse non l’hai mai saputo. E allora cammini, e ti lasci toccare dalla vita, in ogni parte del tuo corpo. E ti ricordi di avere un corpo, e che ogni sua parte è meravigliosamente unica, è meravigliosamente tua. Ma non sei solo questo. Partecipi di ciò che ti circonda. Sei nell’aria che respiri. E continui a camminare, senza sapere dove stai andando, lasciandoti guidare da visioni, scorci di palazzi mai visti, là dove tira il vento, oltre uno sguardo morto che non ti appartiene più. La gente ti passa accanto. Parlano, pensano, camminano. E sono sorprendentemente ignari di tutto. Percepisci la loro pesantezza. Non stanno vivendo. Sono in trance, come tu lo eri un momento fa, prima di svegliarti.
Capita che vai avanti così, senza meta, di strada in strada, inseguendo il vento. E trovi regali inaspettati, cose mai viste, e il tuo sguardo non è mai pago di visioni inattese. E tu non pensi, perchè qualsiasi pensiero non ha senso, tutte le cose della vita non hanno senso se tu provi a dargliene uno. Se cerchi il senso non lo sei. Se cerchi un cerchio stai fuori dal cerchio. O sei dentro, ma non lo sai. Il mondo gira, ma non t’importa. Hai smesso di cercare l’universo. Tu sei l’universo. Qui e adesso.

Era da tempo che non mi capitava un raro momento di consapevolezza. Oggi è accaduto questo, alle 17.15 di questo piovoso giovedì di novembre. Fuori dal cinema Fiamma, a Roma. Dopo aver visto Un’altra giovinezza di Francis Ford Coppola. Un film che parla di eternità.





lunedì 29 ottobre 2007

Martedì 30 ottobre

Scritto da Gualtiero De Marinis su Film Tv n.42

Volevo dirvi una cosa. Martedì 30 ottobre su La7 c’è Marco Paolini con Il sergente, ispirato a Il sergente della neve di Mario Rigoni Stern. Così magari vi preparate. Voglio dire, disdite gli appuntamenti, dite alla zia di passare un’altra sera, avvisate gli amici. Così magari smettete di piangervi addosso. Di venirmi a raccontare che non c’è mai niente in televisione. Perché c’è Marco Paolini martedì 30 ottobre su La7 con Il sergente. Così magari la smettete di dire che tutti i programmi più belli vanno sempre in onda a notte fonda. Perché va in onda alle 21,30 Il sergente di Marco Paolini, martedì 30 ottobre, su La7.
Scrive Aldous Huxley nel Mondo nuovo che 625.000 ripetizioni fanno una verità. Io non credo di riuscirci a dirvi per 625.000 volte che martedì 30 ottobre c’è Marco Paolini su La7. Ma intanto comincio. Io poi vi capisco. Anche voi avete i vostri problemi. Perché il mondo va in rovina, non si riesce più a vivere, la politica è tutto un magna magna, perché destra e sinistra sono uguali, perché c’è la criminalità e ci sono i rom e i romeni. Perchè magari credete che rom sia un diminutivo di romeni. Come viene fuori anche da un post di Grillo che singolarmente sostiene che con l’invasione dei rom/romeni i nostri confini siano stati “sconsacrati”. Una considerazione che non si sentiva più almeno dagli anni 40.
Tutte queste cose, lo capisco, vi stanno a cuore. Però io ho una buona notizia. Martedì 30 ottobre su La7 c’è Marco Paolini con Il sergente. Così potete smettere, almeno per una sera, di lamentarvi. O di piagnucolare perché c’è sempre qualche cattivo che vi impedisce di fare le cose che vorreste fare. Basta sintonizzarsi su La7 alle 21,30 di martedì 30 ottobre per vedere Marco Paolini ne Il sergente.
Adesso aprite il programma di posta e spedite la notizia a 10 amici entro un’ora. Perché questa è una catena. Disgraziatamente non posso promettervi nulla. Né che vincerete alla lotteria, né che i vostri sogni più intimi verranno realizzati. Ma vi giuro che se guardate Paolini vi si apre la testa.

P.S.: Lapis mi suggerisce di fare un pezzo sul fatto che martedì 30 ottobre c’è Paolini su La7 con Il sergente. Non è una brutta idea. Forse lo scrivo.

sabato 27 ottobre 2007

L'uomo di ghiaccio e il sole del Brasile



Una settimana fa…

C’era una volta un omino brutto e calvo che per vincere mandava spioni professionisti a rubare i segreti della squadra avversaria…

Ma il re, venuto a conoscenza della cosa, si limitò a dargli un buffetto sulla guancia.

C’era una volta l’uomo cioccolata, che era talmente bravo da credersi un dio, e che in quanto divinità si concedeva ogni tanto scorrettezze di vario genere…

Ma il re, ammaliato dalla sua bravura, si limitò a rimproverarlo in privato senza punirlo.

E poi c’era l’uomo di ghiaccio venuto dal nord, che silenzioso nella sua tuta rossa lavorava giorno dopo giorno, senza rispondere alle provocazioni. E che credeva ai miracoli…

Finché un giorno il sole del Brasile bruciò la testa pelata dell’omino e sciolse l’uomo di cioccolata. L’uomo di ghiaccio, invece, rimase in pista. I raggi sciolsero il ghiaccio, ma sotto batteva un cuore rosso…

GRAZIE KIMI

venerdì 12 ottobre 2007

Un sogno

Cos’è che ci spinge ad andare avanti anche quando tutto l’universo sembra correre nella direzione opposta alla nostra? Me lo domando spesso, in questi giorni. E me lo domando mentre guardo la gente camminare per strada. Per alcuni è un figlio appena nato, o il primo contratto di lavoro, o il primo bacio a una ragazza, o una vincita al lotto, o una vacanza al mare, l’estinzione del mutuo, l’auto nuova, il Natale. Ma può bastare anche un tramonto, una cena in famiglia, un film al cinema, un gatto che fa le fusa, la tua canzone preferita, quell’amico ritrovato, un gol, la domenica mattina, un pasto caldo, la carezza che aspettavi da mille anni?
Forse no, forse sì, forse niente basta ma tutto è necessario.
Cos’è che mi spinge ad affrontare la bufera che si è abbattuta sulla mia vita? Cos’è che mi fa andare avanti? Vorrei poter dire la fede. No, non è la mia piccola fede. Vorrei poter dire le persone che mi amano. No, ce la mettono tutta ma non basta. Vorrei poter dire la consapevolezza di essere fortunato. No, il mio ego meschino lo ignora. Allora cos’è, cos’è questo motore furioso che mi spinge oltre ogni ostacolo con la forza di cento turbini maestose?

Un sogno, soltanto un piccolo sogno. La mia anima vorrebbe rivelarvelo, ma il mio cuore timido tace. Gli basta sapere.

Povertà

Dietro lo splendore delle antiche rovine, dietro il lusso e il fasto, i multiplex e i teatri, i ristoranti e le università, i musei e le gallerie, c'è un'altra Roma, nascosta, invisibile, sotterranea.
E' la Roma dei poveri, di cui nessuno parla. Non ci fai caso se sei un turista, non ti interessa se sei di passaggio. Ma viverci ti costringe a guardare con occhi più profondi la realtà.
I poveri vivono sotto i ponti che sovrastano il lungo Tevere. Vivono in mezzo alle rovine dell'antico impero, in case di cartone che si piegano al minimo soffio di vento. Vivono davanti le chiese, ad elemosinare qualche spicciolo ai fedeli che entrano, o nei sotterranei delle metropolitane, coperti di stracci e sdraiati per terra. Alcuni si spostano da un quartiere all'altro, da una metro all'altra. Altri, come la signora che incrocio ogni pomeriggio nella fermata metro "Re di Roma", stanno sempre nello stesso posto, sempre con la faccia scarna e triste, con la scodella pronta ad accogliere la carità altrui.
C'è chi ti ferma per le strade, e magari non parla una parola d'italiano. C'è chi è italiano dalla nascita e disgraziato da pochi anni, o da decenni. Ci sono quelli invadenti, che quasi pretendono un tuo atto di carità, e quelli schivi e riservati, il cui sguardo rivolto al pavimento è ormai piegato dalla fatica del vivere.
Nessuno parla di loro, ma te li ritrovi davanti in ogni zona di Roma.
Ormai, capito l'andazzo, e trovandomi nell'impossibilità economica di dare molto, esco di casa preparandomi da parte monete da 5, 10, 20 centesimi. Perchè non puoi decidere, in base a nessun criterio, di dare ai primi tre mendicanti e rifiutare ai successivi quattro. Meglio perciò dare poco ma a tutti. Non sempre ho con me questi spiccioli, e allora sono costretto a passare avanti, a ignorarli, mentre il senso di colpa mi assale e una vocina interiore mi dice quanto faccio schifo e quanto poco valgo. Una grande città come Roma ti mette costantemente di fronte a queste situazioni. Mi aiuterà a crescere, penso.

giovedì 11 ottobre 2007

E dove li trovo 7 miliardi di dollari?

Il mitico superpresidente fa il suo bel discorsetto ai rappresentanti dei 16 paesi più industrializzati durante una conferenza Onu sull’ambiente. E dice che, sì, in effetti, visto che tutti ne parlano, forse sarebbe il caso di fare qualcosa. E, insomma, lui sarebbe anche disponibile a cercare di risolvere il “serio problema del cambiamento climatico.” Solo che, dopo aver dato vaghissime indicazioni su quali misure è intenzionato ad adottare, se ne viene fuori con questa frase: “Riguardo al problema ogni nazione deve decidere da sola la propria strategia per ottenere risultati verificabili ed efficaci.”
Cioè, fammi capire bene, Giorgino Dabliuino dei miei stivali: il tuo paese, il più ricco e il più inquinato del mondo, quando inquina l’aria e le acque provoca danni a tutti noi, però quando è ora di risolvere questi problemi si chiude in se stesso con la scusa del “fatevi gli affari vostri, ci pensiamo noi”? Forse ancora il signorino non ha capito che le nazioni del mondo non sono isole separate, ma che le azioni di ognuno si ripercuotono prima o poi sugli altri. L’ostinata presa di posizione isolazionista degli Stati Uniti in tema ambientale fa ridere i polli proprio perché proveniente da un paese che condiziona, nel bene e nel male, le sorti dell’intero pianeta, e che mai nella sua storia si è “fatto gli affari suoi” intervenendo invece in ogni dove.

Ma il nostro amatissimo superpresidente, pochi giorni dopo, ha ancora riempito i giornali con memorabili prese di posizione. Ha infatti messo il veto alla legge che avrebbe esteso la copertura sanitaria a 4 milioni di bambini americani che non hanno un’assicurazione medica (per la cronaca, in USA ben 47 milioni di persone sono prive di tale assicurazione – vedere urgentemente Sicko di Michael Moore). Lui serafico ha risposto: “Io credo nella medicina privata, non in un sistema sanitario guidato dal governo federale.” Una posizione ideologica, dunque. Ma non solo. Il programma per la riforma sanitaria verrebbe a costare 7 miliardi di dollari in più all’anno.

E dove volete che il presidente trovi tutti questi soldi?
Ah, già, la stessa cifra la spende in UN MESE per la guerra in Iraq…
Ma no, dai, stiamo scherzando? Se vi proponessero la scelta tra:

  1. Spendo 7 miliardi all’anno per garantire assistenza sanitaria a tutti i miei cittadini.
  2. Spendo 7 miliardi al mese per mandare a morire centinaia di miei cittadini.

Voi cosa fareste? Ma è chiaro… optereste per la seconda ipotesi! O no?

venerdì 5 ottobre 2007

Assenze

Non scrivo sul blog da oltre un mese. Già si rincorrevano strane ipotesi: Si è trasferito in Alaska? Si è sposato con una donna che gli ha intimato: o me o internet? E’ stato rapito dagli alieni?
Niente di tutto questo. Molto più semplicemente…

Ieri vivevo in una cittadina di 28.000 abitanti. Oggi vivo in una metropoli sui 4.000.000.
Ieri per andare al cinema impiegavo sei minuti a piedi da casa mia.
Oggi per andare al cinema impiego dai 40 ai 50 minuti.
Ieri passavo il tempo libero a leggere Maupassant sul divano.
Oggi passo il tempo libero a cucinare, lavare e stirare.
Ieri guidavo una Peugeot 106.
Oggi mi sposto in metro, in bus e a piedi.
Ieri il Colosseo lo vedevo solo sulle cartoline.
Oggi passo davanti al Colosseo almeno una volta a settimana.
Ieri sapevo chi ero.
Oggi devo ancora scoprire chi sono.

La vita ha bussato alla mia porta e mi ha detto:
“Non ho certezze da offrirti, solo doni non richiesti.
Non parole che abbiano un senso, ma sogni indecifrabili.
Non radici piantate per terra, ma rami che si muovono orientati dal vento.
Non quello che vuoi tu, ma quello che non ti aspetti.”

mercoledì 15 agosto 2007

A proposito di paesi civili

Due tra i miei paesi preferiti (???), Gli Stati Uniti e l’Iran, fanno ancora parlare di sé.
Nel pacifico paese iraniano governato dal barzellettiere Mahmud Ahmadinejad (la sua battuta più famosa è: “L’olocausto non è mai esistito”) nelle ultime settimane c’è stata una incredibile escalation di esecuzioni. E’ superfluo ricordare che nel civilissimo Iran la condanna a morte è legale e ampiamente praticata, e che gli omicidi (pardon, le esecuzioni) avvengono per impiccagione in pubblica piazza. Ogni tanto, nel silenzio generale, c’è qualcuno che alza la mano – come faceva il timido studente sui banchi della scuola elementare – per chiedere il permesso di parlare; per dire che, forse, uccidere sette-otto esseri umani al giorno è un tantino esagerato e, forse, bisognerebbe dare una ridimensionata a questa abitudine quanto meno discutibile, soprattutto se le immagini delle impiccagioni fanno il giro del mondo rischiando di impressionare i nostri cari bambini occidentali traumatizzabili. Incredibile ma vero, a parlare questa volta è stato il governo italiano, che ha espresso “forti inquietudini” sull’escalation di condanne nel paese arabo.
La risposta del barzellettiere non si è fatta attendere. Il comunicato da Teheran recitava così: “Ogni paese indipendente combatte il crimine secondo le sue leggi, e ogni interferenza in questo campo è un’interferenza negli affari interni di un paese.” Insomma, fatevi gli affari vostri e lasciateci ammazzare in pace tutti quelli che vogliamo ammazzare.
Personalmente manderei a quel paese (che non è l’Iran) il barzellettiere e i suoi affari interni…

E passiamo ora all’altro civilissimo paese (in cui, manco a dirlo, è praticata la pena di morte). L’incommensurabile George W. gongola di felicità dopo che il Congresso ha approvato una legge che rende più “difficile” l’ingresso negli Stati Uniti.
L’idea del geniaccio texano è semplice: per evitare nuovi attacchi terroristici al paese, basta chiuderci dentro, come i cowboys nel fortino assediato dagli indiani. Se nessuno riesce ad entrare, chi ci potrà fare del male? La legge approvata è un primo passo per la realizzazione della Grande Idea, rendere gli Stati Uniti un paese chiuso, un eden in cui può vivere solo chi è nato e cresciuto yankee, a pane e Super Bowl, e tutti gli altri possono stare alla larga, dai cugini canadesi agli altezzosi europei, dai visi pallidi australiani ai mandarini cinesi, dai neri dello Zambia agli amiconi arabi.
La legge, in poche parole, rende più difficile ottenere i visti d’ingresso negli Stati Uniti, anche quelli turistici. A partire dal 2008, grazie a un rigoroso sistema elettronico, il viaggiatore che incautamente vuole avventurarsi nella terra di Abramo Lincoln e John Wayne dovrà chiedere l’autorizzazione all’ingresso negli USA precisando in dettaglio date e tappe del suo viaggio. La normativa concede al governo americano il potere di non concedere il visto a chi sia ritenuto in qualche modo sospetto.
Vi rendete conto? Sono finiti i bei tempi in cui si partiva all’avventura, decidendo di giorno in giorno le tappe di un viaggio, esplorando guidati dal caso e dall’istinto un paese straniero. Andare negli Stati Uniti da oggi vi costerà almeno un mese di preparativi. Dovrete stabilire nel dettaglio tutto: i giorni e i luoghi di permanenza, quali mezzi di trasporto prendere e a che ora prenderli, quali città visitare e in che giorno visitarle. E se per caso doveste imbattervi in un contrattempo qualsiasi, o decideste per un qualsiasi motivo di volervi recare a Boston anziché a Chicago il venerdì mattina, guai a voi! CIA, FBI, POLIZIA ed ESERCITO vi bloccherebbero all’aeroporto rispedendovi a calci nel sedere nel paese ostile da cui provenite.

Ve l’immaginate la scena? Voi siete lì, tranquilli tranquilli in aeroporto, in bermuda e infradito, quando piomba sul posto un’armata di marines cazzuti col mitra in mano.
“Fermi tutti!” fanno i marines. “Voi non siete dove dovreste essere!”
E voi, esterrefatti, avete appena il tempo di biascicare un improbabile “bah… verament…” che loro già vi elencano i misfatti di cui vi siete incontestabilmente macchiati:
“All’ingresso nel nostro civilissimo e amatissimo e democraticissimo e perfettissimo paese avete dichiarato che oggi, 13 agosto, alle ore 15.56, sareste stati all’interno dei confini della città di New York. Invece vi trovate qui, in un luogo in cui non dovreste essere. Questo è un chiaro segnale che avete intenzioni ostili nei confronti degli Stati Uniti d’America. A causa del vostro atteggiamento fortemente sospetto dobbiamo riportarvi nel vostro ostile paese d’origine. Se fate resistenza saremo costretti a usare la forza.”
E così voi, fortemente sospetti in bermuda e infradito, farete ritorno prima del tempo nel vostro ostile paese d’origine, Calascibetta in provincia di Palermo (noto covo di terroristi), scortati dai marines in tuta mimetica.

Io, per non correre rischi, ho già cominciato a pianificare il mio viaggio negli Stati Uniti, previsto per l’estate del 2015. Ho già buttato giù una lista provvisoria degli spostamenti del primo giorno, da consegnare ai miei amici della dogana americana.

Ore 07.45. Mi alzo e vado al cesso della camera del mio albergo, situato in via ****

Ore 8.00. Mi infilo le scarpe da tennis pronto per uscire.

Ore 8.05. Entro nell’ascensore dell’albergo, scendo a piano terra, saluto l’addetto alla reception ed esco fuori.

Ore 8.10. Imbocco la strada alla destra dell’albergo, cammino per 35 metri, poi mi infilo nel vicolo sulla sinistra, mi fermo 10 secondi per guardare l’insegna di un barbiere italo-americano, poi proseguo, sempre a piedi, per 400 metri…

martedì 7 agosto 2007

Il Michelangelo del Novecento


24 ore dopo Bergman, un altro gigante del cinema ci ha lasciato. Siamo tutti un po' più orfani da quando Michelangelo Antonioni non è più tra noi.
Regista che ha filmato l'incomunicabilità tra gli uomini, scandagliando l'animo umano in profondità, immergendo i suoi personaggi in un paesaggio che nessuno sapeva riprendere come lui, Antonioni credeva nel suo ritmo lento e ipnotico, nella forza delle sue immagini, in lunghe sequenze silenziose e senza dialogo. Come l'estenuante piano-sequenza finale di Professione: reporter, o la memorabile partita a tennis senza pallina del finale di Blow-Up.
E' perciò con le immagini dei suoi film, più che con le parole, che porgo al Maestro il mio piccolo saluto.

Galleria fotografica Antonioni

martedì 31 luglio 2007

Ciao, Ingmar. E buon viaggio

Può accadere che la morte di un vecchio signore nato nel 1918 e mai conosciuto di persona possa farmi sentire triste, farmi sentire mancante?
Sì, può accadere, se la persona in questione ha avuto un ruolo importante nella mia formazione, nell’evolversi dei miei pensieri, nel lento formarsi del mio sguardo sul mondo.
Ieri, all’età di 89 anni, si è spento nel silenzio e nella pace della sua casa svedese, Ingmar Bergman, uno dei più grandi registi della storia del cinema, un gigante del pensiero, il filosofo della settima arte.
Con i suoi film esistenziali, mai banali, ricchi di spunti di riflessione profondi e incisivi, introspettivi fino all’estremo, colti, mai compiaciuti, io ci sono cresciuto.
Sono cresciuto coi primi piani di Liv Ullmann e Ingrid Thulin, con lo sguardo scarno di Max Von Sidow, con i paesaggi svedesi e i dubbi sull’esistenza di Dio, i dialoghi infiniti sulla vita e sulla morte, il dolore, la fanciullezza, i ricordi, lo scoppio di risate, le lacrime, i sogni.
L’artefice di tutto questo non c’è più. Sta percorrendo l’ultimo viaggio, verso la meta che ha sempre cercato, l’ignoto che lo attende.
E allora potrei parlarvi del professor Isak Borg, settantottenne batteriologo, che è entrato nella mia vita di spettatore con queste parole: “I nostri rapporti col prossimo si limitano per la maggior parte al pettegolezzo e a una sterile critica del suo comportamento. Questa constatazione mi ha lentamente portato a isolarmi dalla cosiddetta vita sociale e mondana. Le mie giornate trascorrono in solitudine”, prima di percorrere il lungo viaggio verso Stoccolma (dove si celebrerà il suo giubileo professionale) fermandosi nei luoghi in cui era stato felice in gioventù, nel luogo dei ricordi, nel Posto delle fragole. O potrei parlarvi del dolore di Sussurri e Grida, della gaiezza di Sorrisi di una notte d’estate, della vendetta di La fontana della vergine, del rigore di Luci d’inverno, dell’esemplarità di Scene da un matrimonio.
Ma dato che stiamo parlando di una morte, non posso che citare Il settimo sigillo, forse il film che più di ogni altro mi ha fatto innamorare della poetica di Bergman.
Il settimo sigillo è l’ultimo di quelli che, secondo l’Apocalisse di San Giovanni, impediscono la lettura del libro tenuto in mano da Dio. Il settimo è dunque l’ultimo sigillo, quello la cui rottura condiziona la rivelazione suprema dei segreti contenuti nel libro di Dio. Solo l’Agnello – e cioè, secondo un sinonimo aramaico, il Servo, cioè Cristo – può procedere a questa rivelazione, a dissigillare il libro.
Il film, ambientato nel medioevo dei saltimbanchi, dei roghi, delle pestilenze, racconta la storia del Cavaliere Antonius Block, di ritorno a casa dopo una Crociata. Sergio Trasatti, autore di una splendida monografica sull’opera di Bergman, lo descrive così:

“Block è sfiduciato, stanco, deluso. Lo vediamo in riva al mare con il suo scudiero, Jöns, mentre una voce fuori campo legge alcuni versetti dell’Apocalisse. E’ l’alba, il cielo è nuvoloso, il mare mosso. Il cavaliere prega in ginocchio, a mani giunte. Sopraggiunge la Morte: è venuta a prenderlo, è da molto che lo segue. Block dice di non essere pronto: «Il mio spirito lo è ma non il mio corpo. Dammi ancora del tempo». Sfida la Morte a una partita a scacchi: sarà salvo finché la partita durerà.”

Nel frattempo assistiamo alle vicende di una famiglia di saltimbanchi, di un pittore, di una ragazza accusata di stregoneria, di un furfante, di un fabbro.
Block, uomo disperato perché non riconosce se stesso nei suoi simili, dice: «Vorrei confessarmi ma non ne sono capace perché il mio cuore è vuoto come uno specchio che sono costretto a fissare. Mi ci vedo riflesso e provo soltanto disgusto e paura, indifferenza verso il prossimo, verso i miei irriconoscibili simili».
Alla domanda della Morte: «Non credi che sarebbe meglio morire?» il cavaliere risponde: «L’ignoto mi atterrisce. Ma perché, perché non è possibile cogliere Dio con i propri sensi, per quale ragione si nasconde tra mille e mille promesse e preghiere sussurrate e incomprensibili miracoli? Perché dovrei aver fede nella fede degli altri? Perché non posso uccidere Dio in me stesso? Perché continua a vivere in me, sia pure in modo vergognoso e umiliante, anche se io lo maledico e voglio strapparlo dal mio cuore? E perché, nonostante tutto, egli continua ad essere uno struggente richiamo di cui non riesco a liberarmi? Vorrei sapere senza fede, senza ipotesi. Voglio la certezza. Voglio che Dio mi tenda la mano e scopra il suo volto nascosto e voglio che mi parli».
«Il suo silenzio non ti parla?» incalza la Morte.
«Lo chiamo e lo invoco – replica Block – e se egli non risponde penso che non esiste. Allora la vita non è che un vuoto senza fine. Nessuno può vivere sapendo di dover morire un giorno come cadendo nel nulla, senza speranza».

Il cavaliere, dopo aver attraversato nel suo simbolico itinerario i segni dei drammi e delle tragedie degli uomini (la guerra anzitutto, poi la peste, la collera, l’adulterio, la superstizione), si riscatta sottraendo alla morte, con uno stratagemma, la famigliola felice dei saltimbanchi.

Al termine della vita, nel castello, quando arriva la morte per l’appuntamento definitivo, il cavaliere è pronto: ha riconosciuto in sé il volto del prossimo e nel prossimo il suo volto. Ha riconosciuto il volto dell’uomo. Accoglie la Morte in preghiera: «Dall’oscurità che tutti ci attornia mi rivolgo a te, Signore Iddio. Abbi misericordia di noi che siamo inetti e sgomenti e ignari… Dio, tu che in qualche luogo esisti, che devi certamente esistere, abbi misericordia di noi».

Lo scudiero, materialista e ateo, lo irride. «L’ora è venuta», dice qualcuno. A questo punto vediamo la famigliola del saltimbanco in salvo, sulla spiaggia. Jof indica, sulla sommità della collina, un macabro corteo: la Morte danza con Block e con gli altri personaggi, “allontanandosi lietamente nel chiarore dell’alba verso un altro mondo ignoto.”

Ciao Ingmar. E buon viaggio…

domenica 22 luglio 2007

Problemi tecnici insormontabili

Capita anche questo. Capita che tu compri con qualche mese di anticipo il biglietto per un concerto di uno dei più grandi compositori contemporanei. Si sa già il giorno, l’orario, il luogo. Attendi febbrilmente la sera dell’evento, mentre manifesti, cartelloni e annunci radio pubblicizzano il tutto in pompa magna.
E poi…
a soli tre giorni dal concerto, leggi (per caso) uno scarno comunicato che annuncia: IL CONCERTO E’ STATO ANNULLATO PER PROBLEMI TECNICI INSORMONTABILI.
Ma come!? Sapevate con mesi di anticipo dove si sarebbe svolto il concerto, e vi siete accorti della presenza di problemi tecnici insormontabili solo a tre giorni dall’evento? E ce lo dite così, senza pudore né vergogna, candidamente?
Mentre rimpiango ancora il mai avvenuto concerto di Ennio Morricone al Velodromo Borsellino di Palermo, penso che gli unici, veri, tristi problemi insormontabili, sono quelli del cervello di tante, troppe persone, inadeguate, incompetenti, superficiali. E sommesso ascolto le note di C’era una volta… il concerto.

mercoledì 11 luglio 2007

I tre stadi dell'amore nella "Vita nuova" di Dante

In un tempo come il nostro in cui si sta perdendo la capacità di amare, e in cui si confonde l’amore con mille suoi surrogati che ne distorcono il senso e ne mortificano la bellezza, sarebbe bene ripassare con gli occhi e la mente la concezione dantesca dell’amore. Forse salterebbe agli occhi che la maggior parte di noi è tristemente ferma al primo stadio, e ignora perfino l’esistenza degli altri due.

Nel primo stadio l’amante spera nella ricompensa da parte della donna, e quindi cerca un appagamento esteriore e materiale.

Nel secondo stadio l’uomo non ama più la donna per averne qualcosa in cambio, ma l’amore diviene fine a se stesso.

Nel terzo stadio l’amore viene sublimato e diviene lode alla donna vista come miracolo di Dio. L’amore per la donna innalza l’anima sino alla contemplazione del cielo. É l’amore mistico, paragonabile a quello dei beati in cielo, che non mira a ricompense materiali e trova la sua beatitudine solo nella contemplazione e nella lode di Dio. É questo “l’amor che muove il sole e l’altre stelle” come lo definirà Dante nell’ultimo verso del Paradiso.

I tre momenti della vicenda amorosa ricalcano i tre stadi dell’ascesa dell’anima a Dio di cui parla tutta la tradizione mistica, da sant’Agostino sino al san Bonaventura dell’Itinerarium mentis in Deum (Viaggio dell’anima in Dio). I tre stadi da questa tradizione sono definiti extra nos (fuori di noi), intra nos (dentro di noi), super nos (sopra di noi). In un primo stadio l’anima ama Dio attraverso le cose esteriori, come riconoscenza per i beni materiali del creato che sono un suo dono; poi la felicità scaturisce tutta dal di dentro dell’anima stessa, dalla gioia di amare Dio di per se stesso, per la sua infinita bontà; questo amore trasporta infine l’anima al di sopra di se stessa, sino a ricongiungerla con Dio.

Nella Vita nuova vi è quindi un processo discendente (Dio donna poeta) e un processo ascendente (poeta donna Dio). La donna è il tramite per ritornare a Dio.

sabato 30 giugno 2007

Forestali piromani e Becchini serial-killer

Secondo la Protezione civile il 90% degli incendi di questi giorni sono di natura dolosa. Gran parte dei focolai sembra siano stati appiccati dai forestali stagionali! Quella che sembrerebbe una contraddizione in termini ha in realtà una sua macabra logica, se si considera che, secondo le leggi attuali, i forestali stagionali vengono assunti in base al numero di incendi. Ergo: più incendi ci sono più alte sono le probabilità di essere assunti. E’ ovvio che tutte le persone sprovviste di senso civico, senso del dovere, altruismo e amore per la natura, ma in compenso dotate di un minimo di furbizia, facciano il seguente ragionamento:
Se PIU’ INCENDI = PIU’ ASSUNZIONI allora mi basta appiccare qualche focolaio per essere assunto!
Detto, fatto. Torce e accendini in mano, questi esseri umani (?) di cui mi vergogno di essere fratello se ne sono andati in giro per i boschi e le montagne dando fuoco a tutto quello che incontravano. Lo scirocco ha fatto il resto.
Alcuni (pochissimi) sono stati colti sul fatto e arrestati. Tutti gli altri l’hanno fatta franca. Per la rabbia di noi cittadini indifesi e dei loro colleghi, i tanti forestali onesti.
E’ triste pensare che l’uomo abbia davanti agli occhi, anziché i prosciutti (come si suol dire) banconote da 10, 20, 50 euro. Siamo disposti a tutto pur di guadagnare soldi, ci facciamo scudo con le teorie di Machiavelli sul fine che giustifica i mezzi, calpestiamo con serafica tranquillità diritti, doveri, responsabilità. Non ce ne frega niente: basta che ci danno i soldi!
E pensavo: ma dove finiremmo se, dopo i FORESTALI PIROMANI, altre categorie lavorative prendessero spunto da questa trovata? Immaginate GLI AVVOCATI ASSASSINI, che vanno in giro ad eliminare una discreta quantità di persone per poter lavorare poi ai processi. Oppure I MEDICI VIRUS che di proposito fanno ammalare i pazienti per poi poterli curare. O I MECCANICI SABOTATORI che di notte guastano le auto per poi poterle riparare il giorno dopo. O i BAGNINI ANNEGATORI, che ogni tanto cercano di fare annegare qualcuno per poi poterlo salvare. O I BECCHINI SERIAL KILLER, che in mancanza di materia prima fanno una strage per avere il lavoro assicurato. E potrei continuare per due ore, ma non voglio fornire idee a qualche squilibrato che mi legge.

mercoledì 27 giugno 2007

Giornate apocalittiche

Lunedì 25 giugno 2007. Mi alzo dopo una notte insonne passata ad agitarmi nel letto cercando di sconfiggere il caldo. Apro il balcone sperando di trovare un po’ di refrigerio, e vengo letteralmente assalito da un’ondata di calore inverosimile. Uno scirocco incredibile stringe nella morsa l’intera città. Riesco a stare fuori solo una manciata di secondi: mi arrivano in faccia vampate di fuoco che mi tolgono il respiro. Qui ce ne intendiamo di scirocchi, ma una cosa del genere non l’avevo mai vista. Respirare fuori è praticamente impossibile, il vento caldissimo mi impedisce pure di pensare. Mi pare di prendere a fuoco, e mi sento come Ghost Rider, con il corpo circondato dalle fiamme. Torno dentro e chiudo il balcone. Tutta la casa è chiusa, sigillata, per non fare entrare il caldo africano. Ma ben presto le stanze si trasformano in camere di tortura. Non ho condizionatori d’aria, il ventilatore smuove solo aria calda, sono spacciato. Se esco fuori muoio sul colpo, se rimango dentro muoio lentamente prima del tramonto.
In teoria di questi tempi dovrei trovarmi nella casa di campagna, dove c’è più fresco, ma al momento sono impossibilitato a trasferirmi. La zona è infatti stata presa d’assalto da un numero imprecisato di zanzare tigre, e occorre fare la disinfestazione. Inoltre, un incendio ha semidistrutto parte dei tubi che portavano l’acqua alla casa, e quindi là starei senza acqua. E stare senza acqua con questo caldo equivale a un suicidio. Perciò rimango qui, per il momento.
Mi affaccio alla finestra della cucina e vedo il monte San Calogero avvolto dalle fiamme. Per la verità le fiamme non si vedono, ma si vede il fumo. In almeno una decina di zone fumi densi e grigi si innalzano, sospinti dal vento. Per tutta la mattinata un canadair fa avanti e indietro tra il mare (dove prende l’acqua) e il monte (dove la getta sopra gli incendi). Io assisto alla scena - che si ripete infinite volte – passando da una finestra all’altra. Ma lo scirocco prosegue, e gli incendi non si spengono.
Dopo aver superato indenne la mattina, mi appresto ad affrontare il pomeriggio, pensando che peggio di così non possa andare. Ma ben presto mi accorgo che può sempre andare peggio, allorché, intorno alle cinque del pomeriggio, se ne va la luce. Ora, non so dove sia andata (forse a fare un pic-nic in Groenlandia), fatto sta che l’intero palazzo, anzi l’intero quartiere, è privo di elettricità. Io non mi preoccupo più di tanto. C’è ancora la luce solare: posso leggere un libro, studiare e scrivere sul computer portatile. Inoltre sono convinto che entro un’oretta al massimo il problema verrà risolto.
Due ore dopo, alle 19, comincio a ricredermi. La luce manca ancora e, come se non bastasse, la batteria del portatile si è scaricata e sono costretto a spegnerlo. Inoltre, scalogna nera, mi accorgo che manca pure l’acqua (e sto sudando come uno svedese nel Sahara). L’idea che tutto il quartiere sia nelle mie stesse condizioni non mi consola per niente. Piuttosto comincio a maledire in sette lingue tutte le persone che hanno un condizionatore d’aria in casa, che lo usano giorno e notte anche quando non c’è bisogno (fregandosene dell’inquinamento ambientale), che per puro egoismo personale ogni anno provocano un sovraccarico della rete elettrica con conseguente black out generale, di cui pagano le conseguenze non solo loro ma anche tutte le buon’anime che condizionatori non ne hanno. Poi, sbollita la rabbia, penso che c’è ancora luce solare; perciò cerco di rilassarmi e sperare che risolavano al più presto il problema.
Quando, alle 20 e 35, il sole tramonta, comincio a farmi prendere dal panico. Sono bloccato in casa con le finestre chiuse senza poter scrivere al computer, guardare la televisione, ascoltare la radio (naturalmente tutte le batterie sono scariche…), sciacquarmi la faccia, a una temperatura media di 35 gradi all’ombra. E la luce solare ben presto sparirà, impedendomi così perfino di leggere!
Le notizie che arrivano dall’Enel sono sconfortanti. A causa di un grave guasto causato dal forte caldo e dal sovraccarico provocato dall’eccessivo consumo di energia, diverse zone della provincia sono al buio. E non si sa quando il problema verrà risolto!
Un’ora dopo sono immerso nel buio, e mi faccio strada per i corridoi di casa grazie alla luce lunare. I surgelati stanno inesorabilmente “morendo”, l’acqua del frigorifero pare che sia stata messa in forno per quanto è calda, gli incendi sul monte San Calogero ora sono visibili nella loro spaventosa vastità. Parlo al telefono con gente che è stata fuori, nell’inferno di questo lunedì di giugno, e mi racconta episodi allucinanti. Temperature che superano i 50°, gente che sviene per strada, ambulanze che si incrociano con camion dei pompieri che non sanno dove andare prima, automobili diventate prigioni di fuoco con le cinture talmente bollenti da non poter essere messe, persone rimaste chiuse nell’ascensore o costrette a farsi 11 piani a piedi per la mancanza di elettricità, ospedali aperti solo per le emergenze, case di campagna letteralmente distrutte da incendi spaventosi, boschi incendiati, gelaterie costrette a buttare gelati e dolci a causa del black out, semafori spenti con conseguente traffico in tilt e incidenti vari, donne costrette a togliersi gli orecchini perché diventati incandescenti…
Alle 21 e 30 io ceno al lume di una lampada a risparmio energetico alimentata da una batteria. Ogni tanto mi affaccio fuori per vedere se lo scirocco è passato ma ogni volta torno dentro deluso. Soltanto mezz’ora dopo, quando le speranze sono quasi svanite, torna l’elettricità. Fiat lux.
E io penso che mentre vivevo questa normale giornata apocalittica, in Antartide lastre di ghiaccio di decine di chilometri si staccavano dal continente per andare a sciogliersi alla deriva. E che quest’anno, dalle mie parti, l’inverno semplicemente non c’è stato. E che giornate come questa, che oggi sono l’eccezione, ben presto potrebbero diventare la regola. E che gente come George W. Bush continua a ripetere che i cambiamenti climatici non sono un problema urgente, e che è disposto a fare qualcosa a riguardo, forse, tra una decina d’anni. Tanto lui ha il condizionatore d’aria che tiene acceso ventiquattr’ore su ventiquattro e quando se ne va la luce usufruisce del gruppo elettrogeno, e se le coste dei continenti venissero sommerse dalle acque state certi che lui starebbe ben al sicuro in qualche residence a cinque stelle ben protetto. E così sia.

P.S. : Avrei dovuto mettere questo articolo sul blog ieri, martedì 26 giugno. Non l’ho potuto fare perché anche ieri è mancata l’energia elettrica. Se n’è andata la mattina ed è tornata alle 21 e 30 di sera! Intanto si contano, a causa dell’afa, 3 morti in Sicilia e 43 in Europa. E il monte San Calogero è letteralmente andato “in fumo”.


giovedì 21 giugno 2007

Tremendi sotto il cielo

L’articolo che state per leggere è stato scritto dal critico cinematografico Aldo Fittante ed è apparso qualche tempo fa su FilmTv. Siccome molti di voi non comprano FilmTv (Padre perdonali, perché non sanno quello che si perdono!) ve lo faccio leggere qui. Buona lettura.

Più che un fantasma è un incubo che si aggira per la nostra società malata, omologata, furba, devitaminizzata. Quest’incubo si chiama Adolescenti. Età variabile dai 12 ai 25 anni, e unico feticcio possibile: il telefonino. Il cantore di questa tremenda metastasi che ormai abbraccia quasi tutti i figli dei figli dei figli dei fiori si chiama Federico Moccia, classe 1963, romano, sceneggiatore per il cinema (?) e «autore – riportiamo testualmente dal suo sito – di testi per grosse produzioni dell’area intrattenimento» (ora si capiscono molte cose). E’ diventato miliardario con tre libri (?): Tre metri sopra il cielo, Ho voglia di te e il recentissimo Scusa ma ti chiamo amore. I primi due sono diventati film (?): il primo, in sala, fu un flop ma si rifece in dvd diventando di culto; il secondo sta per uscire e ha come protagonista Riccardo Scamarcio, star di entrambi. La leggenda racconta che Tre metri sopra il cielo (per gli adepti TMSC) cominciò a circolare in alcune scuole di Roma sotto forma di ciclostilato. Ora: non abbiamo nessuna nostalgia dei ciclostilati degli anni della Contestazione, ma – come direbbe Totò – ogni limite ha una pazienza. Anche per le leggende metropolitane. Leggere questi romanzi (?), così come i blog applicati e le scritte sui muri dalle parti del Ponte Milvio, dove centinaia e centinaia di coppie hanno deturpato il paesaggio secolare agganciando altrettanti lucchetti ai pali della luce e buttando la chiave nel Tevere (il caso sta scatenando risse persino in Campidoglio, con la giunta veltroniana che giustamente non ne può più e la destra che cavalca “la protesta dei gggiovani”), assistere in definitiva a questo festival del sentimentalismo più retrivo e scontato, dove la poesia è assente perché la poesia è sentimento e nient’altro, mette i brividi, anzi: fa paura. Fa paura guardare una puntata di Amici di Maria De Filippi (la madre di tutti i mali) dove il pianto ha sostituito la capacità di intendere di volere e di valere e il gossip privato ha preso il sopravvento su un qualunque discorso attraversato dal senno. Fa paura andare al cinema e verificare gli esauriti delle sale dei multiplex dove proiettano Notte prima degli esami oggi, come già scritto da queste colonne un film di destra, qualunquista, becero, dove si assiste all’apologia del tradimento del maschio latino (un Panariello imperdonabile) e dove i ragazzi si divertono a gareggiare in cucinate. Sono diventati tutti scemi e il rincoglionimento ha contagiato il 90% di quella popolazione che, un giorno, dovrà sostituire le classi dirigenti, i professionisti, gli impiegati e gli operai di questo incredibile, malandato Belpaese. Tornado di lacrime, quintali di abbracci, il tifo calcistico usato come succedaneo a qualsiasi altra emozione, padri e madri messi nell’angolo, e orgogliosamente reattivi solo quando c’è da menare un professore che ha sequestrato il cellulare al loro povero, strafottente figliolo. Un dramma che, se vi dovesse capitare la sciagura di inciampare nell’imminente Lezioni di volo di Francesca Archibugi, aumenterebbe in maniera esponenziale. Perché il cuore del problema è il vuoto pneumatico, l’ignoranza, la totale mancanza di lucidità intellettuale di questi ragazzi di oggi, siano a destra o a sinistra, si chiamino Step o Gin o Pollo o Curry.

Aldo Fittante

Aggiungo una postilla personale riguardo al bieco fenomeno dei lucchetti che si sta diffondendo in tutta Italia. L’altro giorno ne ho trovato uno su una panchina pubblica di Palermo. Agganciato alla spalliera, impediva di appoggiare la schiena in quel punto. Sul catenaccio incriminato c’erano due nomi scritti col pennarello (non ricordo se fossero Giorgio e Nadia, Filippo e Cristina, Vattelappesca e Clementina, ma non importa). Il fatto è che io proprio non capisco il significato ultimo del gesto. Voglio dire, ci sono due bambocci quattordicenni che vogliono giurarsi il loro eterno ammmore con un gesto folle e definitivo (i poveretti ancora non sanno che l’amore si esprime giorno per giorno con piccoli gesti apparentemente insignificanti, ma non è colpa loro). E allora, sull’onda della Mocciamania scrivono i loro nomi su un catenaccio e poi lo appendono da qualche parte (ovviamente in un luogo pubblico). Il fatto è che non si rendono conto (o perché sono proprio rimbambiti o perché sono distratti) che il CATENACCIO, da che mondo è mondo, è simbolo di prigionia, schiavitù, chiusura. Sigillare il loro amore in un catenaccio equivale dunque a dire che l’amore è una prigione che schiavizza la persona amata e si chiude al mondo esterno. E’ terribile, ma è proprio il concetto d’amore che hanno questi ragazzi, dove la persona amata deve essere posseduta, e diventa una proprietà privata; dove bisogna sempre stare assieme e portarsi il compagno/a appresso, mano nella mano, come un cagnolino col guinzaglio; dove la coppia si chiude in una dimensione tutta sua che esclude completamente gli altri. Eccolo l’amore cantato al tempo dei mocciosi, due nomi buttati in una prigione chiusa da una catenaccio. Qualcuno di buona volontà dovrebbe recuperare le chiavi buttate e aprire i lucchetti liberando questi poveretti dalla loro schiavitù.

domenica 17 giugno 2007

I detrattori

Parlare male degli altri è facile. Soprattutto se sono assenti. In certi ambienti è una tradizione di famiglia. In altri rappresenta una sorta di pass per accedere al potere o al rispetto degli altri. In Italia è uno sport sempre di moda.
Parlare male degli altri ci consente di ravvivare conversazioni asfittiche. Quando ci troviamo a cena con amici, a un pranzo di lavoro, su un treno o in autobus, e la conversazione langue, basta tirare fuori qualche maldicenza e subito l’attenzione si ravviva. Se poi la maldicenza ha per protagonista sempre la stessa persona (diciamo il bersaglio più facile), è ancora meglio. Se poi la condiamo con particolari inventati e la gonfiamo con parole enfatiche il successo è garantito!
Parlare male degli altri ci fa sentire superiori, perché è scontato che noi non facciamo mai quello che critichiamo negli altri. Perché gli altri, quelli che critichiamo, si sono comportati veramente male e sono arroganti, presuntuosi, vigliacchi, invidiosi, intolleranti, avidi, bugiardi. Noi non lo siamo. Noi siamo perfetti o quasi. Ma gli altri invece… che gentaglia!
Parlare male degli altri con persone che parlano male degli altri ci fa sentire parte di una grande tribù. Io butto l’amo raccontandoti una certa cosa fatta da una certa persona. Tu abbocchi e ne tiri fuori un’altra. Allora a me improvvisamente viene in mente che quella persona è recidiva, perché quella cosa l’aveva fatta già tre anni prima. A te non pare vero di parlare dei misfatti del passato, e così te ne esci con altri tre-quattro aneddoti interessanti. Poi io proseguo con un paio di pettegolezzi non confermati e tu continui con una “voce di corridoio” che hai captato chissà dove. E nel frattempo non ci siamo resi conto che da più di mezz’ora stiamo parlando male di una persona, dipingendola come un essere spregevole, egoista e…
Parlare male degli altri ci fa sentire migliori. Gli altri di cui parliamo male sono sempre più fessi, ingenui, sciocchi. Sin dalle scuole elementari siamo educati a prendercela con il più fragile della classe, quello che quando lo sfottiamo non reagisce, quello che quando gli spezziamo la matita non si vendica spezzandoti la tua, ma ti chiede con quell’aria sperduta perché l’hai fatto, e al massimo lo va a dire alla maestra. Ce la prendiamo con gli sciocchi per sentirci più intelligenti di loro, più virili di loro, più esperti di loro, più preparati alla vita di loro. Parlare male di loro con gli altri amici ci diverte, ci rassicura, ci fa sentire importanti.
Parlare male degli altri, quando sappiamo che sono persone migliori di noi, ci consente di avere un potere su di loro. Abbiamo il potere di distruggerli, di gettare fango sulle loro vesti immacolate, di destituirli agli occhi della gente. Perché, alla lunga, parlare male di quelle persone di cui tutti parlano male, ci stanca. Ma parlare male di quelle persone di cui tutti parlano bene può essere molto appagante. Supportati da quel potentissimo alleato che è l’invidia, ci scateniamo in cattiverie gratuite alimentate dalla nostra fervida fantasia. Facciamo diventare il generoso un opportunista, il santo un diavolo, l’umile un orgoglioso, il benefattore un egoista. E scopriamo di trovare terreno fertile nell’invidia altrui. Infatti l’hobbie preferito dalla mediocrità è sparare sul genio. Lo sport più praticato dall’ignoranza è il tiro a segno sull’intelligenza. Chi vale più di noi non deve prevalere, quindi noi lo buttiamo giù, e lo facciamo con l’unica arma a nostra disposizione: la parola. Sappiamo che la nostra maldicenza si propagherà come uragano inarrestabile, e l’esserne la fonte ci inorgoglisce. Quando ci comportiamo così ci trasformiamo in detrattori (vedi citazione di S. Francesco in basso).
Chissà perché non parliamo mai male di coloro che ci possono dare qualcosa, di coloro che detengono il potere su di noi, di coloro di cui dobbiamo possedere la stima per riceverne in cambio favori, soldi, posizioni. O di coloro che ci fanno paura, perché sono bulli, mafiosi, corrotti. No, meglio prendersela con chi ci fa antipatia, con gli stupidi, con chi è migliore di noi.

San Francesco consigliava di non dire mai di una persona assente cose che non diremmo se la persona fosse presente. Riavvolgendo il nastro della mia vita mi sono reso conto che quasi mai ho messo in pratica questo consiglio.


A questo riguardo ripeteva spesso Francesco: "Il detrattore dice così: - Mi manca la perfezione della vita, non ho il prestigio della scienza, né doni particolari: perciò non trovo posto né presso Dio né presso gli uomini. So io cosa fare: getterò fango sugli eletti e mi acquisterò il favore dei grandi. So che il mio superiore è un uomo e alle volte fa uso del mio stesso metodo, cioè sradicare i cedri perché nella selva grandeggi unicamente il pruno. Miserabile!, nutriti pure di carne umana e rodi le viscere dei fratelli, giacché non puoi vivere diversamente! ". Costoro si preoccupano di apparire buoni, non di diventarlo, accusano i vizi altrui ma non depongono i propri. Sanno soltanto adulare quelli, dalla cui autorità desiderano di essere protetti, e diventano muti quando pensano che le lodi non raggiungano l'interessato. Vendono a prezzo di lodi funeste il pallore della loro faccia emaciata, per sembrare spirituali, in modo da giudicare tutto e non essere giudicati da nessuno. Godono della fama di essere santi, senza averne le opere, del nome di angeli ma non ne hanno la virtù.

Fonti francescane 770. Dalla vita seconda del Celano (biografia di san Francesco)

giovedì 14 giugno 2007

Lettera di Paris Hilton

Ho ricevuto questa lettera ieri.
Per correttezza nei confronti dei lettori del blog mi è sembrato giusto pubblicarla.
Dopo averla letta capirete perché questo è probabilmente l’ultimo post del mio blog.

(Molto poco) caro sign. Catanzaro,
le scrivo questa lettera perché profondamente offesa dalle parole calunniose presenti nel suo post “Barbie l’ereditiera e le mie prigioni”.
Lei non ha alcun diritto di ironizzare sulle mie tristi vicende, di gettare fango sulla mia onorata carriera, di fare insinuazioni sul mio integerrimo comportamento.
Ma come si permette di paragonarmi a quella smorfiosa di Barbie? Quella sì che ha campato una vita senza fare niente! Certo, poi le hanno fatto il matrimonio combinato con quel cretino di Ken (anche se è un bel fusto, lo ammetto) però mica si può lamentare!
Lei dice che io faccio la bella vita e non lavoro?
Non è vero! Io lavoro eccome! Ma se l’immagina quanto è faticoso organizzare tre cocktail party a settimana, dovere preparare la lista di tutti gli invitati (poi ci pensa la mia addetta alle telefonate a chiamarli), e poi dover rispondere alle domande dei centinaia di addetti alla preparazione della festa?
Io sto lì tranquilla, nella mia vasca da bagno, dopo aver faticato mezz’ora per riuscire ad attivare l’idromassaggio, e dall’altra parte della porta mi chiedono cose del tipo:

“Scusa Paris, ma devo ordinare 600 bottiglie di Martini o solo 550?”
“Scusa, Paris, ma è consigliabile invitare sia Tom Cruise che Nicole Kidman, visti i precedenti?”
“Mi scusi, miss Hilton, ma quale vestito devo far ritirare dalla sartoria, il Versace comprato ieri o il Valentino che ha messo alla festa di una settimana fa?”

Sono domande difficili, perdindirindina! Ma io sono costretta a rispondere.
Tutti dicono che non lavoro, ma lei lo sa che fatica andare in giro tutto il weekend a fare shopping, che poi magari una si confonde e compra pure due vestiti uguali!
E la scelta su quale, tra le duemilassettecentoquaranta scarpe nell’armadio, mettere la mattina, non è uno sforzo?
E poi sono pure costretta a rilasciare decine di interviste. Non lo chiamate lavoro, questo?

Ho fatto un sacco di lavori pesanti, io: lo spot per quel cavolo di telefonino che è andato in onda anche in Italia, le sfilate di moda (che c’avevo i calli ai piedi a furia di fare avanti e indietro in passerella), il calendario (vorrei vedere voi a stare nudi con gli spifferi che entrano dalle finestre!). Ho anche recitato in un film (era un horror, se non sbaglio).
La mia vita è molto stressante, che crede?
Ad esempio il sabato di ogni settimana il mio avvocato viene da me per farmi firmare delle carte. Io firmo le carte e il giorno dopo scopro che il mio conto in banca è cresciuto. Sì, a me sta bene, ma la mia povera mano che deve firmare ogni sabato rischia di farsi venire seri problemi alle articolazioni!
Insomma, nessuno mi capisce.
Dicono che sono stupida. Non è vero! Anch’io leggo, ogni tanto. A me piacciono tantissimo le riviste di moda femminili, quelle dove ci sono solo fotografie e pubblicità, senza quella scocciatura delle parole. Io so di essere intelligente. Una volta un tizio mi ha fatto una domanda difficilissima, credo che mi ha chiesto quanto fa 2 + 2. E io gli ho dato la risposta giusta! Che gliene pare?
Ma poi arrivano gli sbruffoni come lei che fanno i moralisti e sono pronti a sparare a zero sulla povera gente come me che si deve fare un culo così per arrivare sana di mente a fine mese!
No, non è giusto. Così ho dato mandato al mio avvocato di querelarla. Sì, signor Catanzaro dei miei stivali, ha capito bene: que-re-lar-la! Così le tolgo dalle labbra quel sorriso sornione e le faccio chiudere il suo blog patetico in 24 ore. Basta che faccio una semplice telefonata dal mio carcere di massima sicurezza e lei è un uomo finito.
Siccome sono molto corretta prima di porre fine alla sua miserevole e anonima vita facendole pagare un risarcimento danni per aver leso la mia immagine, ho pensato di avvertirla scrivendole questa lettera.

Indistinti saluti,

Paris Hilton

martedì 12 giugno 2007

Barbie l'ereditiera e le mie prigioni

Poi dicono che uno non deve ironizzare sull’imbecillità umana, perché non si spara sulla Croce Rossa… Ma come si può contenere l’inarrestabile scoppio di risate di fronte a cose del genere?

La storia è arcinota, e qui vi riassumo le tappe salienti.

La bionda Barbie è uno dei misteri della fisica quantistica: non lavora, non deve mantenere una famiglia, non ha nulla da fare durante il giorno. E’ un’ereditiera, quindi può permettersi di grattarsi la schiena e smaltarsi le unghie dei piedi per i prossimi duemila anni.
Vive in una megavilla galattica a Hollywood, utilizza le banconote da un dollaro come carta igienica e si soffia il naso con fazzoletti Dolce & Gabbana.
Siccome contare i soldi e pettinarsi i capelli tutto il giorno è noioso, organizza tre cocktail party a settimana, in cui invita tutti i suoi amiconi vip di mezzo mondo: attori, cantanti, divi della tv, sceicchi arabi.
Per tenersi attiva va a fare schopping una volta a settimana, tornando a casa con quattro furgoni carichi di roba. Ma alla lunga tutto questo stanca.
Così la bionda Barbie decide che è ora di lasciarsi andare. Qualche sniffatina qua e là, un po’ di alcol, e anche un bel filmino a luci rosse da mandare via internet. La popolarità cresce, i giornali parlano di lei, il conto in banca sale. Che pacchia!
Ma Barbie non si accontenta. Così si ubriaca sempre più spesso, nel tentativo di diventare alcolizzata, come tante illustre colleghe. Però non c’è gusto a bere fino all’alba e poi non guidare almeno per una trentina di chilometri! Così Barbie si mette alla guida della sua auto quando ancora i Martini e la Vodka le ballano nel sangue.
Disgrazia vuole che la polizia la fermi. Guida in stato di ebbrezza. Se lei fosse una comune mortale le farebbero qualcosa, ma lei è Barbie l’ereditiera e quindi se la passa liscia.
Passa un po’ di tempo, e Barbie fa la stessa cosa. Poi un’altra volta, poi un’altra ancora.
Finché una sera (vedi come il mondo è crudele) Barbie viene fermata per l’ennesima volta alla guida della sua auto. Ovviamente ha appena finito di scolarsi 347 alcolici vari. Ma stavolta le va a finire proprio male: guida in stato di ebbrezza, ma è recidiva. Scatta perciò il ritiro della patente!
Ma Barbie non si dà per vinta. Non sarà certo una pura formalità burocratica a impedirle di guidare la sua auto da mezzo milione di dollari. Così continua ad andare in giro ubriaca con la sua auto senza patente.
Ma (e qui la malasorte si accanisce proprio su di lei) viene fermata ancora. E stavolta sono guai seri: guida senza patente dopo ritiro per guida in stato di ebbrezza, reato per cui è recidiva.
Tribunale, giudice, sentenza: 23 giorni di reclusione in carcere!
Cosa? Barbie girl l’ereditiera in carcere? Non sia mai!
Ecco che Barbie assolda tutti i più famosi avvocati d’America per risolvere il suo caso internazionale.
“Io non posso finire in prigione!” pare abbia confidato alle sue amiche. “E perché?” “Perché sono io!”
Gli avvocati si attivano, ma sembra che Barbie sia destinata al peggio. Tuttavia ci sono tante strade per evitare il carcere. Consigliata dagli avvocati, Barbie si dà subito da fare. E nell’ordine:

1. Attraverso internet e la tv fa un appello ai suoi fans affinché intervengano per evitarle la galera!
2. Evita, per ben due settimane, di organizzare feste a base di cocaina, ubriacarsi per locali, farsi fotografare senza veli, picchiare le cameriere che si sono scordate di portarle il caviale in camera (così i giudici capiranno che è diventata una “brava ragazza”)
3. Per convincere il giudice che si sta miracolosamente convertendo alla spiritualità si fa fotografare all’interno di una libreria mentre compra un tomo spirituale ispirato alla filosofia buddista, una copia della Bibbia e un libro di psicologia intitolato “Auto-aiuto”.

Ma i giudici non si impietosiscono e, finalmente, Barbie l’ereditiera finisce in carcere. Un carcere di massima sicurezza? No, un istituto penitenziario femminile. Cella di dieci metri quadrati, un comodo letto con lenzuola e un televisore a disposizione!
Ma la bionda Barbie non può reggere a tanta crudeltà. Sbattuta in una cella come una delinquente, lei che è famosa in tutto il mondo per la sua… fama!?
Barbie passa una notte insonne (e ti credo: senza shopping, vasca idromassaggio, party hollywoodiani, che vita è?).
Ma dopo tre giorni avviene il miracolo: Barbie viene scarcerata!
Motivo? Un fantomatico problema medico, certificato dal suo miliardario psichiatra personale. Sui giornali si legge: a causa di un probabile esaurimento nervoso Barbie l’ereditiera ha lasciato dopo appena tre giorni il carcere.
Barbie, a questo punto, chiede gli arresti domiciliari, perché dice che un essere umano non può reggere per ben 3 giorni in una prigione.
Nel suo caso, gli arresti domiciliari dovrebbero essere scontati nella sua mega villa hollywoodiana con piscina e giardino. Sai che disdetta!
Il presidente del sindacato degli sceriffi dice che ha l’impressione che ci sia stato un trattamento di favore nei confronti di Barbie. Ma no, suvvia, ma quando mai!
Poi succede qualcosa d’imprevisto: per la prima volta compare sulla scena un essere raziocinante vagamente dotato di cervello umano. Costui è il capo della Procura di Los Angeles, il quale condanna il teatrino buffonesco che è stato messo in piedi e presenta un appello contro la prematura e ingiustificata scarcerazione di Barbie.
Il giudice gli dà ragione, e condanna Barbie a tornare in carcere.
Lei, straziata dalla notizia, esce dal tribunale urlando: “Non è giusto!” e poco prima di essere portata via si mette a strillare “Mamma! Mamma!”.
Tornata in carcere, passa le ore a frignare e piagnucolare. Non mangia, strepita, fa la capricciosa. Timorosa che i fans la dimentichino, si concede il lusso di fare una chiamata un po’ particolare: contatta una famosa giornalista e si fa fare una intervista esclusiva per telefono.
Poi, il suo amicone psichiatra riesce a convincere il giudice che la sua paziente non può reggere, nelle sue condizioni, in quella cella. Così Barbie viene trasferita all’ospedale del carcere, dove attualmente si trova per scontare la sua pena, in una situazione davvero terribile: sta sola in una stanza ampia con quattro letti e televisore.
Ma di qua alla scarcerazione chissà cos’altro si inventerà Barbie l’ereditiera! E poi, uscita dall’inferno, quanto ci scommettete che pubblicherà un best-seller sensazionale sulla sua esperienza, magari intitolandolo: “Le mie prigioni”?

Bella storiella. Peccato che sia tutto vero. Peccato che Barbie girl abbia un nome e cognome: PARIS HILTON (età: 26 anni. Professione: ereditiera).
Poi dicono che uno non deve ironizzare sull’imbecillità umana…

venerdì 8 giugno 2007

RESETtiamoci il cervello

Ieri sera, al Palasport di Palermo, siamo stati investiti da un fiume in piena lungo 180 minuti. Tanto è durato lo spettacolo di Beppe Grillo, RESET, una mastodontica operazione di riemersione della verità dal fango della disinformazione in cui rimane troppo spesso sepolta.

L’omino di Genova ha mitragliato a ruota libera sul Tronchetto dell’infelicità, Totò Vasa Vasa, Lo PsicoNano altrimenti conosciuto col nome di Truffolo, e poi Globulo e i tanti sindaci, assessori, consiglieri, ministri, sottoministri, parlamentari, imprenditori, banchieri e altre aberranti figure del nostro malato paesucolo da terzo mondo. Di fronte ai dati snocciolati con assoluta precisione e conditi con la consueta ironia, nonostante gli oltre 30 gradi della serata siamo rimasti tutti agghiacciati. Anche coloro che da anni seguono le battaglie di Grillo non possono trattenere, ogni volta, un senso diffuso di malessere. Il paese che esce fuori dallo spettacolo di Grillo è un’Italietta sull’orlo del baratro, primitiva e corrotta fino al midollo.

Siamo un paese dove la gente si ritrova davanti casa tonnellate di immondizia che inondano i marciapiedi, dove per risolvere un problema (lo smaltimento dei rifiuti) se ne crea uno maggiore (gli inceneritori). Dove gli invalidi hanno difficoltà a salire sui treni, i ragazzi con due lauree campano scaricando tir di notte o schiavizzati in un call center, le banche sono strozzini autorizzati che truffano i propri correntisti, i piccoli azionisti non contano nulla e vengono sistematicamente presi per i fondelli, migliaia di persone muoiono sul posto di lavoro, altre migliaia muoiono per problemi ambientali, il traffico è sovraumano, le infrastrutture sono obsolete, nell’aria si respira cocaina, le risorse idriche vengono male sfruttate o appaltate ai mafiosi, le aziende locali vengono saccheggiate dalle multinazionali straniere senza che nessuno dica niente.

Abbiamo 25 parlamentari condannati in via definitiva che siedono sulle loro poltrone, truffatori incalliti che hanno fatto fallire decine di aziende e hanno rovinato migliaia di famiglie che si godono esili dorati, sindaci che pensano di risolvere il problema degli stupri pagando un risarcimento danni alle donne stuprate con tanto di tabella con fascia anagrafica e di reddito, un servizio di trasporto aereo e ferroviario in crisi cosmica, ministri della cultura analfabeti, politici ultra settantenni che parlano con un linguaggio dell’800…

E c’è molto, molto di più da dire. Grillo lo dice. Saltella da un argomento all’altro e sembra venire da un altro pianeta, ma è un essere umano che si sbraccia per informare e portare la conoscenza delle cose a noi, creature cieche e stolte, che facciamo finta di non vedere. Cosicché un giorno noi non potremo dire “Io non sapevo”, ma saremo costretti a dire: “Io sapevo, ma non ho fatto nulla”.

Vogliamo ridurci a dire questo?

C’è un Grillo parlante che ci punzecchia nell’orecchio, vogliamo prestargli ascolto?

Basta un semplice click quotidiano su www.beppegrillo.it. Il resto spetta ad ognuno di noi. RESETtiamoci il cervello, ricominciamo da capo e diamoci da fare!

martedì 5 giugno 2007

News dal mondo di Truman (2)

NEWS.
Osama Bin-Laden si è spontaneamente consegnato ai militari americani. Intervistato dai giornalisti di tutto il mondo, ha motivato la resa con queste parole: “Mi sono macchiato di aberranti crimini contro l’umanità. Ho usato invano il nome di Allah per giustificare atti barbari e disumani che nulla hanno a che vedere con la mia religione e con qualsiasi altra fede. Ho ucciso e ho fatto uccidere, e merito di essere processato e punito. Rivolgo il mio appello a tutti i fratelli che hanno lottato al mio fianco fino ad ora: cessate il fuoco e consegnate le armi. La più grande vittoria sta nel riconoscere i propri errori e accettare di pagarne le conseguenze. Chiedo perdono a tutti, e mi ritiro in silenzio in attesa del processo.”

NEWS.
Centinaia di chiromanti, veggenti, lettori di tarocchi e maghi si sono presentati nella mattinata di ieri in questura, autodenunciandosi per truffa aggravata ai danni di poveri clienti indifesi. “Non abbiamo alcun potere paranormale”, hanno dichiarato. “Abbiamo approfittato della disperazione e dell’ignoranza di tanta povera gente per estorcere loro del denaro.”


NEWS DAL MONDO DI TRUMAN

IL MONDO DI TRUMAN



sabato 2 giugno 2007

Un secondo

Durante la giornata capita a tutti noi di dover prendere migliaia di decisioni, dalla più importante (accetterò la sua proposta di matrimonio?) alla più banale (devo pettinarmi prima di uscire?).

Quello che spesso ignoriamo è che, in qualsiasi circostanza, sono sempre e solo DUE le decisioni che possiamo prendere, due le scelte che possiamo fare, due le strade che possiamo percorrere.

La prima scelta è LA SCELTA EGOISTICA.

La seconda scelta è LA SCELTA ALTRUISTICA.

Non ce ne sono terze, non ci sono vie di mezzo o scappatoie. Siamo chiamati a scegliere tra la prima e la seconda opzione, sempre e comunque.

Quando propendiamo per la prima scelta, facciamo ciò che riteniamo più giusto per noi. Quando optiamo per la seconda facciamo ciò che riteniamo più giusto per gli altri. Il problema è che ciò che è meglio per gli altri quasi sempre non coincide affatto con ciò che è meglio per noi. Allora nasce il conflitto, per sanare il quale siamo costretti a scegliere.

È raro (soprattutto per le scelte di quotidiana amministrazione) avere a disposizione molto tempo per compiere le nostre scelte. Il più delle volte abbiamo a disposizione solo una manciata di minuti o di secondi per prendere una decisione. Quando ci vengono poste delle domande a bruciapelo, quando qualche imprevisto ci costringe a prendere decisioni immediate, quando riceviamo una telefonata inattesa o ci imbattiamo in un incontro fortuito, non possiamo pretendere di riflettere sul da farsi come un filosofo chiuso in una stanza, o di rinchiuderci nella cabina di un quiz magari per chiedere “l’aiutino” da casa. Dobbiamo dire SI’ o NO. Dobbiamo decidere se fare o non fare una cosa. Dobbiamo scegliere tra l’egoismo e l’altruismo.


Se mentre guidi in macchina e hai una fretta indiavolata incroci un autostoppista che ti chiede un passaggio.


Se sei invitato alla festa di un tizio che non sopporti ma che è stato sempre gentile con te e hai tre secondi per accettare o meno l’invito.


Se tua suocera ti chiede di andarla ad accompagnare dal medico proprio mentre stai guardando il Gran Premio finale del mondiale di formula 1 a cui tieni tanto.


Se un amico ti chiede un prestito immediato nel momento in cui hai problemi finanziari.


Se sei seduto sull’autobus, distrutto dopo una lunga giornata, e vedi entrare un’anziana signora che non ha dove sedersi.


Se mentre sei sdraiato in spiaggia vedi un bambino che annaspa al largo e sta per annegare.


Se tua moglie ti chiede di rinunciare a una cosa a cui tenevi particolarmente per farla contenta.


Se il vicino di casa organizza una festa rumorosa per festeggiare il suo cinquantesimo compleanno e tu vorresti chiamare la polizia perché la musica ti impedisce di leggere il tuo romanzo preferito.


In tutte queste circostanze, possiamo scegliere. Egoismo o altruismo. Non ci sono altre vie. Il punto è che, quando dobbiamo prendere una decisione immediata, nove volte su dieci l’istinto ci fa propendere per la scelta egoistica. La nostra prima reazione è quasi sempre egoistica, non si scappa.


L’autostoppista può rimanere dov’è perché IO non ho tempo da perdere.

Alla festa non ci vado perché IO mi annoierei a morte.

Mia suocera può farsi accompagnare da qualcun altro perché IO mi devo vedere il Gran Premio.

Il mio amico dovrà arrangiarsi perché IO non posso aiutarlo.

La signora anziana sarà pure anziana, ma IO sono stanchissimo.

Il bambino sta annegando, ma IO non so nuotare bene e affogheremmo insieme se mi gettassi in acqua.

Mia moglie è capricciosa e IO devo farle capire chi comanda in casa.

Ora chiamo la polizia così quello lì la finisce e IO posso leggere in santa pace.


Ecco probabilmente le nostre prime reazioni. Ecco ciò che il nostro primo istinto ci porta a scegliere. Chi crede che non sia così o non si conosce o è un santo. Escludendo la seconda ipotesi (non me ne vogliate, ma la santità oggigiorno è rara) ci farebbe comodo riflettere sulla prima.

Siamo dunque schiavi del nostro egoismo, incapaci di slanci altruistici, schiacciati dal nostro istinto egocentrico e autoconservatore? Per fortuna no.

Per fortuna (anzi, per scelta) la natura ci ha donato di un meccanismo infallibile (chiamatelo coscienza, senso di colpa, senso della giustizia o come vi pare) che scatta automaticamente, esattamente UN SECONDO dopo che abbiamo preso una decisione egoistica.

Dopo quel secondo, una voce interiore ci urla (raramente è un sussurro, alla voce interiore piace gridare!) che abbiamo commesso un errore, che la scelta che abbiamo istintivamente compiuto è sbagliata, che dobbiamo prendere l’altra strada, quella dell’altruismo, anche se in apparenza essa presenta solamente svantaggi.

E’ in quel momento, lucido e preciso, che capiamo e sappiamo, senza ombra di dubbio, ciò che realmente dobbiamo fare, e cioè:


Fermarci e dare il passaggio all’autostoppista, perché LUI ha bisogno del nostro aiuto.

Accettare l’invito del tizio, perché LUI ha piacere di vederci.

Accompagnare la suocera dal medico perché LEI ce lo ha chiesto.

Prestare quel che possiamo all’amico perché LUI è in difficoltà.

Alzarci e fare sedere l’anziana signora perché LEI ha più bisogno di noi di riposarsi.

Tuffarci in acqua e salvare il bambino perché la SUA vita è importante.

Rinunciare a qualcosa per nostra moglie perché LEI ne sarebbe felice.

Accettare il baccano del vicino perché per LUI è un’occasione speciale.


Una volta che la nostra voce interiore ci ha chiarito il da farsi, può darsi che ormai sia troppo tardi, e che abbiamo già preso la decisione “sbagliata”.

Tuttavia, nove volte su dieci, siamo ancora in tempo per ritrattare e correggere il nostro errore, proprio perché la consapevolezza che sia un errore subentra appunto UN SECONDO dopo l’errore stesso.

A quel punto siamo chiamati ad ingaggiare una lotta furiosa con il nostro orgoglio, il quale è un damerino furbo e seducente che cercherà in tutti i modi di impedirci di rimediare al torto, convincendoci che in fondo la nostra scelta non era del tutto egoistica, che noi abbiamo avuto le nostre buone ragioni per decidere così, che non siamo perfetti e non potremo mai esserlo, che ormai la frittata è fatta…

Se riusciremo a sconfiggerlo, rimedieremo al nostro errore immediatamente. Solo così potremo prendere, finalmente, la decisione giusta. Il sollievo che dopo ci avvolgerà non ha eguali, e chiunque abbia mai sperimentato che l’amore dato è mille volte più forte e meraviglioso di quello ricevuto saprà di cosa sto parlando.

Rinunciare a se stessi per gli altri è molto difficile, ma ogni singolo giorno possiamo farlo, centinaia di volte.


Io, ad esempio, avrei voluto passare il primo pomeriggio a riposare o a leggere. Non mi andava affatto di accendere il computer e scrivere questo pezzo.

Dovevo scegliere: fare quello che volevo, quello che IO desideravo per me, oppure fare qualcosa che poteva essere utile agli ALTRI.

Subito ho deciso che, avendo piena libertà di scegliere, sarebbe stato masochistico rinunciare a ciò che volevo fare. Ho optato per la scelta egoistica.

Poi è passato UN SECONDO.

E dopo quel secondo ho sentito una voce interiore che mi diceva che forse i pensieri che ho cercato di comunicare sopra potevano essere utili a qualcuno.

Così ho accettato la verità che IO avevo torto, e che ero solo il solito egoista. Ma ho anche capito che potevo rimediare, tornare indietro e fare ciò che sentivo era giusto fare.

Ciò che sentivo che era giusto fare l’ho fatto, ed ecco materializzarsi questo lungo e tortuoso pensiero che ho espresso.

Naturalmente tutto questo mi tornerà utile in futuro, perché il bene che facciamo torna sempre indietro moltiplicato per cento. E da ora in poi, prima di prendere qualunque decisione, attenderò quel secondo fatidico. Poi deciderò.