martedì 27 febbraio 2007

I frignoni di sinistra e l'esilio in Burundi

Mi ero ripromesso di non parlare di ********, ma dopo quello che è successo ultimamente non resisto alla tentazione. In verità la prima reazione agli avvenimenti dell’ultima settimana poteva riassumersi in una serie infinita di “colorite esternazioni gergali”, altrimenti conosciute col nome di parolacce, rivolte prevalentemente a quei ridicoli buffoni (i quali mi scuseranno per il complimento) protagonisti di quell’orrendo film andato in onda in parlamento. Fermo restando che qualsiasi essere senziente troverebbe grottesco il fatto che basti una semplice influenza (capace di mettere ko un senatore e di farlo rimanere a casa) per impedire alla maggioranza di rimanere tale (e figuriamoci se, come in questo caso, non di influenza si tratta ma di dissenso manifesto sul programma di governo), volevo parlare di un altro aspetto della faccenda.

Il fatto è che troppo spesso sono i sostenitori di una squadra a vedere per primi i difetti e le mancanze del proprio collettivo e a criticarne l’inefficienza. Il guaio è che i giocatori della squadra medesima sembrano non voler ascoltare il parere dei loro “tifosi”, continuando a cascare negli stessi errori. Insomma, non credo sia un caso se le più sonore pernacchie, i più vibranti insulti e le più originali maledizioni siano arrivate in questi giorni non dagli avversari politici dell’Unione, ma dallo stesso popolo di sinistra, stufo di vedersi rappresentare da gente talmente ancorata alla propria posizione di partito e alle proprie ostinate convinzioni, da non riuscire a fare fronte comune per il bene collettivo. Pensando ai buffoni che vorrebbero rappresentarci (siamo l’unico paese civile della Terra in cui un governo eletto dal popolo non riesce a governare manco dodici mesi di fila!), che non si metterebbero d’accordo nemmeno sulla scelta del film da noleggiare il venerdì sera, mi vengono in mente le profetiche parole di Michael Moore.

Il celebre regista statunitense, in occasione dell’uscita del suo straordinario “Farenheit 9/11” (documentario illuminante sulla politica del governo Bush e sul dopo 11 settembre, Palma d’oro al Festival di Cannes 2004), riferendosi ai democratici di sinistra del suo Paese, si espresse con le seguenti parole:


“Sono una massa di frignoni, senza spina dorsale. Mancano di carattere. I democratici non riescono a vincere un’elezione neanche quando vincono. Sono perdenti anche quando vincono. Sono patetici. Almeno i repubblicani e quelli di destra credono in qualcosa. Difendono e lottano per ciò in cui credono. Quelli dell’altra parte invece non sanno che pesci prendere. Non concluderemo mai niente con questa gente. Ecco perché vincono sempre gli altri. Questo è triste considerando che viviamo in un paese liberale.”

(Conferenza stampa di presentazione del film – New York, luglio 2004)


Inutile dire che Moore è un democratico, ed è il primo ad accorgersi delle mancanze della sua “squadra del cuore”. Inutile dire che quattro mesi dopo le sue dichiarazioni, il repubblicano Gorge W. Bush ha vinto le elezioni battendo il democratico John Kerry, considerato un candidato “troppo debole” dalla maggior parte degli opinionisti americani. Inutile dire che potremmo tranquillamente parlare dei nostri ******** di centrosinistra utilizzando le stesse parole che Moore ha utilizzato per i suoi democratici. Insomma, tutto il mondo è paese. Se d’altra parte il soprannome del leader della coalizione al governo è “mortadella” qualche riflessione in proposito è d’obbligo.

Soluzione: il suicidio di massa? L’esilio in Burundi? Ognuno è libero di scegliere la soluzione migliore, nella speranza comune di un futuro diverso…

sabato 24 febbraio 2007

La gelosia

Dove c’è gelosia non c’è amore. L’amore non contempla la gelosia, non la contiene. Chi è geloso? E’ geloso chi possiede. La gelosia è paura, paura di perdere ciò che si possiede. Dove non c’è possesso non c’è gelosia, perché dove non esiste possesso non esiste paura di perderlo. Il possesso non è amore. Chi possiede una cosa non la ama. Amare e possedere sono due processi distinti e separati. Noi bramiamo possedere oggetti, virtù, persone, e chiamiamo questo attaccamento amore. Ma l’amore è incondizionato e senza paura. Può dunque esserci amore se abbiamo paura di perdere ciò che possediamo? La proprietà uccide l’amore. Cerchiamo qualcosa e la facciamo nostra, ne rivendichiamo il possesso. Quella macchina è mia, quella casa è mia, quella persona mi appartiene. E quando il nostro possesso è minacciato da una causa esterna, ecco che noi siamo inquieti. E’ l’irrequietezza nata dalla paura e che noi chiamiamo gelosia. Ma la gelosia è frutto della paura, e la paura c’è solo dove esiste il possesso, e dove c’è possesso non c’è amore. Dunque la gelosia nega l’amore e l’amore non contempla la gelosia.

mercoledì 21 febbraio 2007

La canzone di Mike TV

A tutti i genitori che “posteggiano” i propri figli davanti alla televisione affidando a terzi il compito di educarli allo splendore della vita in questo pazzo pazzo pazzo pazzo mondo.

“La canzone di Mike TV”
da La fabbrica di cioccolato, di Road Dahl

Perché un bambino sia bene educato
una cosa importante abbiamo imparato:
non permettete mai e poi MAI,
onde evitare un sacco di guai,
che il miserello se ne stia fermo
davanti a un qualche teleschermo.
Anzi, il consiglio più impertinente
sarebbe non installare per niente
questi apparecchi che rendon cretini
sia i più grandi che i più piccini.
In tutte le case che abbiam visitato
c’era un bambino seduto impalato,
lo sguardo lustro, la bava alla bocca,
davanti a una buffa scatola sciocca.
Taluni possono stare per ore
muti guardando il televisore.
Lo sguardo fisso, l’aria di allocchi,
fuor dalle orbite gli escono gli occhi,
(una volta abbiam fatto un censimento:
ce n’eran venti e più sul pavimento!)
Seduti immoti, ipnotizzati,
come ubriachi paralizzati
con il cervello telelavato
in un massiccio telebucato.
E’ vero, signora, che tiene buoni
anche i bambini più birbaccioni,
che così noie più non le danno
e fuor dai piedi un po’ se ne stanno
mentre lei scola e condisce la pasta
o con le amiche gioca a canasta –
ma non si è mai fermata a pensare
a tutti i danni che può causare
una massiccia esposizione
ai raggi della televisione?
Non si è mai chiesta esattamente
che effetto esercita sulla mente
ingenua della sua creatura
quell’invenzione contronatura?
FA A TUTTI I SENSI L’ANESTESIA,
UCCIDE TUTTA LA FANTASIA!
RIEMPIE LA MENTE DI PACCOTTIGLIA,
E FA VENIRE GLI OCCHI DI TRIGLIA!
RENDE PASSIVI E CREDULONI,
ALLENTA IN BLOCCO ROTELLE E BULLONI
CHE IL CERVELLO FAN FUNZIONARE,
NON LASCIA PIU’ NULLA DA IMMAGINARE,
IL GUSTO PER LE FIABE ROVINA,
TUTTA LA TESTA RIDUCE IN PAPPINA!
A questo punto qualcuno dirà;
“Va bene, va bene, ma come si fa?
Se questo mostro di cui parlate
va eliminato con due pedate,
come faranno i nostri figlioli
a divertirsi, specie da soli?
Come passare una bella serata
senza la tele illuminata?”
Scordato avete la vostra storia?
Vi rinfreschiamo un po’ la memoria?
C’era una volta una grande avventura:
la consuetudine alla lettura!
Pieni di libri i comodini,
scaffali, tavoli e anche lettini!
Tutti leggevano e il tempo volava,
e con il tempo la mente viaggiava:
storie di draghi, regine e pirati,
di navi e tesori ben sotterrati;
deserti, giungle e fitte foreste,
cannibali e indios a caccia di teste.
Paesi strani e luoghi mai visti,
malvagi, eroi, tipi buffi o tristi:
di spazio pei sogni ce n’era a iosa,
leggere era un’attività meravigliosa!
Racconti, favole, romanzi, fumetti,
volumi, tomi, libelli e libretti,
ce n’era gran scelta e varietà,
e tutti leggevano a volontà!
Se erano piccoli i bambini
qualcuno per loro leggeva i destini
di Biancaneve e la mela stregata,
e della Bella Addormentata.
Quanti bei libri, quanti piaceri
potevano scegliere i ragazzi di ieri!
Perciò vi preghiamo, fate il favore,
buttate in cortile il televisore!
Con uno scaffale riempite lo spazio
e pur se i ragazzi saranno uno strazio
per qualche giorno guardandovi male,
colmate di libri quello scaffale;
vedrete poi, passata la crisi,
pian piano smettete di essere invisi:
per far qualcosa, per curiosità,
saranno colpiti dalla novità.
Sfogliando un libro quasi per caso
più non potranno staccarne il naso:
riscopriranno che grande diletto
è leggere un libro o un giornaletto!
Ci prenderanno tanta passione
che scorderanno la televisione;
i tempi in cui erano vittime inermi
del fascino truce dei teleschermi
un brutto sogno vi sembrerà
e ogni ragazzo grato sarà
a quelli che, con mossa sapiente,
l’han trasformato in teleindipendente!

lunedì 19 febbraio 2007

Chi sei tu?

“Chi sei tu?”
“Io sono Sean.”
“Non ho chiesto il tuo nome. Ti ho chiesto chi sei.”
“Sono un avvocato.”
“Non ti ho chiesto che lavoro fai, ti ho chiesto chi sei.”
“Sono padre di due bambini.”
“Non ti ho chiesto questo.”
“Sono marito di una splendida donna.”
“Non ti ho chiesto il tuo stato civile.”
“Sono... un tifoso dell’Arsenal.”
“Non ti ho chiesto per che squadra tifi. Ti ho chiesto: chi sei tu?”
“Sono un uomo.”
“Bene, finalmente mi hai dato una risposta coerente, anche se... non è quella giusta.”
“Vorresti forse mettere in dubbio il fatto che io sia un uomo?”
“Niente affatto. Tu sei un uomo, esattamente come sei un avvocato, un padre, un marito e un tifoso.”
“E allora?”
“E allora c’è che tutte queste cose fanno parte di te, ma non sono te. Identificano un particolare aspetto della tua vita, ma non sono la tua vita. Non mi dicono nulla su chi tu sia veramente, sull’essenza stessa del tuo essere, sul motivo della tua esistenza. Tu ti identifichi nel tuo lavoro, nella tua famiglia, nella tua età anagrafica. Hai bisogno, come tutti, di dare un nome alle cose, di classificarle, etichettarle, marchiarle col sigillo visibile della tua ragione. Ma le cose importanti, le cose vere, non hanno nomi, non hanno etichette, non hanno marchi. Sono esattamente ciò che sono, e basta. Tu chi sei?”
“Te lo ripeto: sono un uomo.”
“Che cos’è che ti identifica come uomo? Forse il fatto che puoi pensare, o provare dei sentimenti. Ma anche un computer pensa, e anche un coniglio prova dei sentimenti. Allora cos’è che ti differenzia? Forse il tuo corpo. Il fatto che hai due braccia, due gambe, due occhi, un cuore, un fegato... ma dopo la tua morte cosa rimarrà del tuo corpo? Ossa. E poi polvere. Ecco, se io ti facessi la stessa domanda che ti ho posto finora, dopo la tua morte, potresti ancora rispondermi: sono un uomo? Che senso ha questa classificazione dopo la morte? Uomo, donna, animale, pianta, cielo, mare, cellula, atomo... sono tutti nomi che ci permettono di catalogare, sezionare, dividere, chiudere in una trappola ristretta la realtà. Ma dopo la morte, dopo il sogno, dopo l’illusione, cosa rimarrà di queste classificazioni? E allora tu non sarai più un uomo. Tu sarai te stesso. Ma adesso è troppo presto per capirlo. Adesso il tuo grado di coscienza è troppo piccolo per poterlo comprendere. E tuttavia è abbastanza grande per poter rispondere alla mia domanda. Chi sei tu?”
“Ho capito che vuoi dire, e ti rispondo: io sono un mistero, un meraviglioso mistero.”

Che ne sapete voi di me,
di me che sono ciò che sono,
e neanch’io chi sono so.

G.C.

giovedì 15 febbraio 2007

Imbroglioni al cinema: Clifford Irving

Che il cinema sia, sotto certi aspetti, un’arte basata sull’inganno, ce lo spiega bene Orson Welles nel suo “F come falso – Verità e menzogna” (F for fake, 1973). Il cinema, come tutte le arti, è una menzogna che dice la verità e l’artista è un illusionista. Uno dei personaggi (tutti realmente esistiti) di cui parla Welles nel film è Clifford Irving, genio dell’inganno che negli anni ’70 fece parlare di sé per quella che rimane una delle truffe più colossali della storia.

Irving, scrittore frustrato che non riesce a pubblicare il suo romanzo, ridotto al verde e a corto di idee, viene fulminato da un’idea geniale: scrivere una biografia autorizzata del magnate Howard Hughes, mitico miliardario e produttore hollywoodiano (alla sua figura è interamente dedicato il kolossal “The Aviator” (2004) di Martin Scorsese). Il problema è che Hughes è un misantropo e non rilascia interviste né si fa vedere in pubblico né mette piede fuori dal suo rifugio dorato ormai da anni. Avere contatti con lui è praticamente impossibile, come sperare dunque di convincerlo a collaborare per scrivere la biografia? Semplice: non occorre convincerlo, né parlargli, né avere contatti con lui. A Irving basta fingere, fare credere a tutti che Hughes lo conosca, provi simpatia per lui, e lo abbia incaricato di scrivere la sua biografia. E come fare per dimostrare la verità di queste affermazioni? Semplice: basta imparare a memoria la calligrafia di Hughes visionando vecchi documenti apparsi sui giornali e poi riprodurla inventando delle presunte lettere scritte dal magnate a Irving; basta saper imitare la sua voce e registrare su nastro delle conversazioni mai avvenute; basta studiare tutto sulla sua vita per saperne ogni minimo dettaglio; basta mostrare sicurezza quando si raccontano queste grosse balle per dare la sensazione di essere sinceri. La credulità della casa editrice McGraw-Hill che fiuta il colpaccio e si fida di Irving fa il resto. Hughes all’inizio non smentisce, non si fa sentire, non dice nulla, fedele alla sua vita da eremita del mondo. Quando però deciderà di parlare e di sbugiardare Clifford Irving in diretta televisiva, il biografo improvvisato dovrà pagare a caro prezzo (la galera) la trovata che gli aveva fruttato un milione di dollari.

Una storia solo divertente? Niente affatto: nella sua ricerca di materiali su Hughes, Irving troverà (o per meglio dire: sarà aiutato a trovare) documenti compromettenti che portano alla luce affari loschi tra il magnate e l’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon. Dagli sviluppi di questa vicenda si approderà al Watergate (per saperne di più recuperate il film “Tutti gli uomini del presidente” (1976) di Alan J. Papula.)

La storia della truffa del secolo è raccontata in maniera avvincente ma un po’ calligrafica da Lasse Hallström nel recente “The Hoax – L’imbroglio” (2006), con Richard Gere nei panni di Irving.

martedì 13 febbraio 2007

Angeli custodi

Quando misi piede sul set de “Il regista di matrimoni” di Marco Belloccio, mi sentivo come Alice appena entrata nel Paese delle meraviglie. Spaesato ed eccitato, entusiasta ma intimorito, potevo facilmente naufragare sommerso dalla frenesia incontrollabile della vita di set e dal meraviglioso quanto tremendo caos del cinema. Sennonché ho avuto la grazia di incrociare il mio cammino con due persone straordinarie, le quali mi hanno accolto con la pazienza del genitore e l’umiltà del servo. Il fonico Gaetano Carito e il microfonista Pierpaolo Merafino non si sono semplicemente limitati ad introdurmi nel mondo del sonoro cinematografico, insegnando con infinita pazienza a chi era - nella pratica - del tutto estraneo a tale mondo, ma hanno sopportato pazientemente le mie infinite mancanze, i miei errori, l’incertezza di un “improvvisato” aiuto microfonista che solo grazie alla loro dedizione è riuscito alla fine a rendersi pur minimamente utile alla realizzazione del film. Da chi ha vinto David di Donatello e altri premi, da chi è abituato a lavorare per registi come Tornatore e Verdone, Muccino e Moretti, non ci si aspetta la comprensione e la modestia che loro hanno dimostrato ogni giorno, ogni ora, ogni secondo. Quella stessa modestia che manca purtroppo a molti personaggi del mondo del cinema di oggi, così estasiati dalla propria persona da dimenticare il rispetto per gli altri. Alla fine il cinema esiste ancora e continua ad essere una meravigliosa macchina dei sogni perché ci sono persone come loro che ci mettono passione e impegno, umiltà e dedizione. A molti, delle persone che ho frequentato durante le riprese del film, devo qualcosa, ma a qualcuno (loro due) devo molto. Ed è a loro, che sono stati i miei angeli custodi, che rivolgo il mio sincero grazie.


sabato 10 febbraio 2007

Attrazione e repulsione

Provo attrazione e repulsione nei confronti della gente. Amo le persone, ma le temo. Forse temo che mi deludano, che si dimostrino inferiori. Inferiori a me? No. Inferiori all’idea che io ho di loro, al mio pensiero riguardo a ciò che dovrebbero essere. Un uomo dovrebbe essere comprensivo; perciò quando si dimostra intollerante mi delude. Un uomo dovrebbe essere intelligente; perciò quando si rivela ignorante mi delude. Una donna dovrebbe essere dolce, non cinica. Un bambino dovrebbe essere educato, non sgarbato. Un vecchio dovrebbe essere saggio, non superficiale. E così via, la gente non fa che deludere le mie aspettative. Io mi aspetto sempre il meglio, ma alla fine è il peggio ad uscire. Così evito il contatto, ma questo distacco mi mette nella posizione del giudice, mi costringe a giudicare. E siccome il giudizio su una persona non dovrebbe competere a me, che dovrei limitarmi ad amare, ecco che questa situazione mi porta ad essere ciò che non dovrei essere, e a fare ciò che non dovrei fare. E mi ritrovo a guardarmi allo specchio e scoprirmi ipocrita, io che mi credevo integerrimo. E lo scoprire tale verità mi delude; dunque anche da me stesso sono stato deluso. Questa scoperta dovrebbe indurmi al distacco finanche da me stesso, ma da me stesso non riesco a distaccarmi. Perciò immagino che dovrò convivere con me fino alla fine dei miei giorni. E così sia.

mercoledì 7 febbraio 2007

Cronache dal pianeta Terra: Scrivi Legge e leggi Far West

Arial viene da me e mi sbatte in faccia un giornale.
Io lo guardo e gli rammento che questo quotidiano è vecchio di quasi un anno. Lui dice che non importa, l’ha trovato in soffitta e l’ha letto.
C’è un articolo che riguarda la nuova legge sulla legittima difesa approvata dal Parlamento italiano. La legge, sostanzialmente, dice:

Chi, trovandosi in casa propria o nel luogo di lavoro, si sente aggredito o minacciato, o crede minacciati e aggrediti i beni che gli appartengono, può reagire come crede, utilizzando le armi legittimamente detenute ed anche uccidendo, perché la sua reazione sarà sempre considerata proporzionata.

ARIAL. Prima di entrare nel merito della questione, vorrei che tu mi chiarissi un punto.

IO. Chiedimi pure.

ARIAL. Che significa “armi legittimamente detenute”?

IO. Mi sembra evidente. Per detenere legittimamente un’arma devi avere il porto d’armi.

ARIAL. E a chi viene dato il porto d’armi?

IO. Be’, non saprei esattamente quali siano i criteri...

ARIAL. Viene dato a gente intellettualmente superiore?

IO. No.

ARIAL. Viene dato a chi vive costantemente sotto minaccia?

IO. No.

ARIAL. Viene dato a chiunque?

IO. Più o meno, sì.

ARIAL. E vendere armi a qualcuno è legittimo?

IO. Se ha il porto d’armi, sì.

ARIAL. Ma le armi vengono usate per fare del male?

IO. Di certo una pallottola non ti fa bene.

ARIAL. E chi vende le armi lo sa?

IO. Sì.

ARIAL. Ed è legittimo, per chi ha il porto d’armi, tenere in casa uno strumento che fa del male?

IO. Esattamente.

ARIAL. Non è mio costume offendere il modo di vivere degli altri abitanti dell’universo, ma mi pare che il concetto di Bene e Male di voi terrestri sia alquanto incasinato. Nel mio pianeta compiere il bene è giusto e compiere il male è sbagliato. Ed è proibito vendere o acquistare strumenti il cui unico fine è fare del male.

IO. Ma un’arma può servire anche per difendersi.

ARIAL. Cosa intendi per “difendersi”?

IO. Intendo che se qualcuno mi minaccia con un’arma che “fa del male” io ho il diritto di difendermi con un’altra arma.

ARIAL. E chi gliel’ha data l’arma a chi ti vuole fare del male?

IO. Non importa. Lui ce l’ha, e se io non gli sparo lui sparerà a me.

ARIAL. Quindi il tuo concetto di “difesa” equivale a sparare, dunque a fare del male.

IO. Ma io non faccio del male perché voglio fare del male. Io faccio del male per difendermi.

ARIAL. I miei amici di Alpha Centauri me l’avevano detto che voi umani siete complicati. Cercate sempre di confondere ciò che è semplice. Nel mio pianeta chi fa del male sbaglia, a prescindere dal motivo per cui lo fa.

IO. Qui le cose sono più complicate, in effetti.

ARIAL. Comincio a capire. Ma quello che ho letto della legge che mi ha sconvolto non è il fatto che lo Stato dia il diritto al cittadino di difendere la propria vita uccidendo, ma che gli dia il diritto di difendere “i propri beni” uccidendo.

IO. Se qualcuno cerca di portarmi via i miei beni, il frutto di tanti sacrifici, devo forse stare a guardare senza fare niente?

ARIAL. C’è una bella differenza tra il “non fare niente” e il “prendere un’arma e sparare”.

IO. A volte si è costretti a usare la forza.

ARIAL. Ora che mi viene in mente, non era un terrestre quel tipo... come si chiama... quello che predicava l’amore e la non violenza?

IO. Chi, Gesù?

ARIAL. Sì, c’era anche lui, ma io dicevo l’altro...

IO. Gandhi?

ARIAL. Sì, credo che fosse proprio lui.

IO. Ma Gandhi era un grande uomo. Era diverso, speciale.

ARIAL. E cosa aveva di diverso da te? Cosa ti impedisce di essere come lui? Non aveva forse due occhi come te, e due orecchie come te, e una bocca come te, e un cuore come te, e una coscienza come te? Non aveva forse gli stessi pensieri che puoi avere tu, e le stesse paure, e gli stessi sogni?

IO. Non so.

ARIAL. Ascolta. Questa legge dice che è legittimo, e dunque giusto, uccidere un uomo che ha cercato di rubare i tuoi beni. La legge dice che un bene materiale, un oggetto inanimato, che sia un posacenere o una banconota da cento euro, vale più della vita di una persona. E’ spaventoso!

IO. Io non credo che la legge voglia dire proprio questo.

ARIAL. La legge parla di beni aggrediti o minacciati. Ti immagini la scena? Un uomo mi entra in casa, aggredisce il mio impianto stereo e minaccia la lavastoviglie. E io che faccio? Prendo la mia arma legittimamente detenuta e reagisco come credo, cioè gli sparo, uccidendolo! E la legge è dalla mia parte.

IO. Messa in questi termini sembra ripugnante.

ARIAL. E’ ripugnante! La vostra società dei consumi e il vostro ridicolo senso della proprietà privata ha elevato ciò che possedete a valore assoluto, relegando ciò che siete al secondo posto. Vi identificate con quello che guadagnate e che comprate, e quando qualcuno minaccia queste vostre conquiste è come se minacciasse voi stessi. E così, sentendovi minacciati, vi arrogate il diritto di reagire. Vi arrogate il diritto di uccidere, e camuffate il male che fate sotto l’ipocrisia delle vostre leggi.

IO. Non so che dire.

ARIAL. Non dire niente. Limitati a vergognarti. Vergognati del mondo in cui vivi. Vergognati di chi ti dice che hai il diritto di uccidere, e che fare del male può essere considerato una reazione proporzionata. Quando morirai, i tuoi cari e preziosi beni, per difendere i quali hai sparato, ferito, ucciso un altro uomo, saranno polvere, aria, nulla. Tu avrai sparato, ferito, ucciso per nulla. E la legge della tua coscienza sarà molto più severa con te di quanto non lo siano le leggi umani.


Cronache dal pianeta Terra

venerdì 2 febbraio 2007

Voti

10 (a prescindere) a tutti quelli che hanno visto, almeno una volta nella vita, un film di Krzysztof Kieslowski.

9 a chi in questo momento respira ed è consapevole che tutto ciò è meraviglioso.

8 ai bambini, di qualsiasi colore, razza, religione, altezza, età, latitudine. Che Dio li benedica, li protegga, li ami (in realtà lo fa sempre). E che il mondo faccia altrettanto (in realtà non lo fa quasi mai).

7 alla cioccolata calda servita in una tazza di porcellana al tramonto di una fredda e piovosa sera d’inverno.

6 a chi ogni tanto, svegliandosi la mattina, si rende conto che l’idea che si era fatto a proposito di qualche questione era sbagliata; e decide di ricominciare daccapo.

5 a chi continua a sparare a zero sulla televisione italiana (e quindi anche a me) perché ignora una recente invenzione di grande utilità: il telecomando.

4 a chi ha creduto per tutta la vita di essere IL MIGLIORE per poi rendersi conto che il suo Ego si era ingigantito a tal punto da dissociarsi dalla realtà e da chi egli era veramente.

3 a chi crede che lo scopo della vita sia quello di fare apparire la propria faccia brufolosa in tv o su qualche copertina di una qualsiasi rivista.

2 a chi si alza la mattina e vuole improvvisarsi scrittore, ballerino, conduttore, cantante, attore, opinionista, senza avere la più pallida idea di dove cominciare.

1 a chi non visiterà (nemmeno una volta nella vita) il mio blog. Peggio per lui!

0 a me, che con la precedente affermazione ho lasciato scappare per un attimo la mia insopportabile arroganza.

-3 alla mia arroganza. Sono riuscito a riacchiapparla e l’ho chiusa in soffitta. Spero che in futuro non faccia altri danni.

giovedì 1 febbraio 2007

Io, il mio corpo e la bassezza dickensiana

Il primo passo per amare se stessi è accettare ciò che si è. Cercare di cambiare ciò che si è per diventare ciò che non si è denota il nostro comportamento nevrotico.
Soffermiamoci sull’aspetto fisico.
L’idea che la maggior parte di noi ha del suo corpo è pressappoco questa:

Il mio corpo non mi piace.

Questa idea è fondamentalmente basata su un pensiero ricorrente, che più o meno è:

Altri hanno un corpo migliore del mio.

Scatta allora il desiderio di avvicinarci al modello della perfezione (che noi identifichiamo in un corpo altrui).
Inutile dire che questo modello, culturale e ideale, (prevalentemente creato ad hoc da mass-media e agenzie pubblicitarie) non esiste nella realtà.
Una visione elevata e profonda di ciò che siamo ci porterebbe a considerare il nostro corpo perfetto per lo scopo cui è stato creato, che, con buona pace di veline e showgirl, non è quello di essere i più fighi della terra al fine di apparire in televisione o rimorchiare l’intera popolazione femminile (o maschile) ma è quello di sopravvivere dignitosamente sul pianeta Terra fino a quando il nostro spirito sarà chiamato altrove.
Siamo sempre pronti a criticare il nostro corpo, a volerlo cambiare e trasformare, a incolparlo della nostra infelicità, a considerarlo inadeguato o insufficiente. Pensiamo che ci sentiremmo a nostro agio in un altro corpo. Addirittura lo umiliamo nei nostri sogni, sognando di avere un altro corpo. Vorremmo essere più magri o più grassi, più alti o più bassi, più belli e affascinanti, col naso più piccolo e gli occhi più chiari, col mento meno pronunciato e le gambe più lunghe, con più capelli e meno brufoli.
E il nostro corpo subisce in silenzio i quotidiani affronti cui lo sottoponiamo, facendo il suo lavoro con diligenza e amore, senza ricevere in cambio nemmeno un minimo ringraziamento.
Il nostro corpo, grazie al quale possiamo camminare sulla spiaggia mirando il sole che si spegne nel mare, correre su un prato pensando a quando eravamo bambini, abbracciare un neonato e tenerlo stretto al nostro petto, piangere lacrime di gioia, chiudere gli occhi e assaporare il profumo delle rose, scoprire con gli occhi il vasto mondo che ci accoglie, accarezzare e baciare, ridere e danzare, spegnere il fuoco di una candela con le dita e accendere il fuoco della passione con uno sguardo…
Non sprechiamo il tempo a invidiare gli altri corpi! Che mondo sarebbe se tutti fossimo uguali, stessa altezza stessi colori stessa espressione?
Ognuno è perfetto così com’è.

Prendete me. Potrei lamentarmi del fatto che sono basso di statura.
Potrei invidiare i papaveri che mi guardano dall’alto.
Potrei sognare di comprare al supermarket qualche centimetro in più.
Ma se mi metto a riflettere per più di qualche secondo, ricordo a me stesso gli infiniti vantaggi che la mia condizione mi porta:

1) Chi è piccolo sta comodo in qualsiasi posto. Abitacoli delle auto, sedili stretti di aerei e cinema, piccole mansarde con tetto basso, spazi ristretti dell’autobus…

2) Essendo la maggior parte delle ragazze alla mia altezza ho il privilegio di poterle guardare negli occhi e incrociare i loro sguardi senza che siano costrette ad alzare la testa per guardarmi (il che alla lunga può anche provocare emicranie fastidiose! Eh eh!).

3) Guardo le persone più alte di me dal basso verso l’alto, ponendomi in una posizione di umiltà che, essendo francescano, mi aiuta a conformarmi al mio ideale di vita.

4) Dal basso tutto appare più grande. Mi sorprendo più facilmente della meraviglia del mondo.

5) Sono più agile e rapido nelle attività sportive (e i cari compagni di calcetto ne sanno qualcosa!).

6) Posso permettermi il lusso di nascondermi ad occhi indiscreti più facilmente (poiché occupo una massa inferiore).

7) Nei grandi raduni caotici passo inosservato, il che è un bene considerato che detesto la confusione e la folla.

8) Se una ragazza accetta un mio invito a cena sono sicuro che lo fa perché è rimasta colpita da ciò che ha visto in me e non dalla mia superba bellezza.

9) Ho la magnifica opportunità di ironizzare sulla mia altezza anticipando le battute degli altri, possibilità questa che non ha prezzo (chi ha letto il monologo del Cyrano de Bergerac a proposito del suo naso mi darà ragione).

10) La mia non è una bassezza dickensiana (intendendo dei personaggi cattivi dei romanzi di Charles Dickens) laddove per bassezza si intenderebbe:

Mancanza del senso dell’onore e della propria dignità. Mancanza di scrupoli. Malvagità.

Ovviamente ognuno può fare analoghe considerazioni sul proprio aspetto fisico.