martedì 9 settembre 2008

Lettera a Michael Crichton

Caro Michael,
ho appena letto il tuo libro “Stato di paura”. Ora, a me piace andare subito al sodo. Perciò, senza convenevoli, ti dico subito: ma che cacchio ti è preso?
Voglio dire, non discuto le tesi affascinati che proponi nel romanzo: il catastrofismo che regna intorno all’argomento “surriscaldamento globale” non corrisponde a quella che è la realtà dei fatti. L’uomo è meno responsabile di quanto si pensi riguardo ai cambiamenti in atto. Dietro agli allarmismi e ai facili strilloni dei giornali sul cambiamento climatico in atto c’è una complessa strategia che ha un suo preciso scopo, quello di farci vivere nella paura. Tutto molto interessante.
Allora dove sta il problema?
Il problema sta nel fatto che i dati che hai raccolto e che mostri, le tesi che enunci, le argomentazioni che porti, andavano benissimo per un saggio. Tu invece, essendo un narratore, le hai trapiantate in un romanzo. Tutto bene, dirai tu, tranne il fatto che il romanzo è scritto proprio male. Non cito nemmeno la parola letteratura, perché di quella non c’è traccia, ma qui siamo dalle parti della narrativa da discount. Passi per la trama confusionaria, in cui i personaggi (troppi) si spostano da un continente all’altro e già dopo 30 pagine non si capisce più una mazza. Passi per le descrizioni sommarie dei luoghi (alla Dan Brown). Passi per la trama a dir poco inverosimile con catastrofe finale sfiorata. Passi pure per le solite 583 (!) pagine, sappiamo benissimo che la sintesi non è tra le tue doti. Ma lo stile, la profondità, la leggerezza, dove sono? Personaggi piatti di cui ti scordi i nomi e che non ispirano nessuna identificazione. Colpi di scena che si susseguono talmente ravvicinati da annullarsi a vicenda. Frasi trite e ritrite almeno quanto l’espressione che ho appena usato (appunto la frase “frasi trite e ritrite” è una frase trita e ritrita). Banalità in scala industriale. E alla fine cosa rimane? La tesi, solo la tesi. Appunto: non l’intreccio, non i personaggi, non la scrittura… ma il messaggio. E per recapitare il messaggio bastava un saggio. Invece tu hai inserito il saggio all’interno di un polpettone inverosimile e indigesto di pessima narrativa. Intendiamoci, niente di peggio di un qualsiasi best seller clonato che trovi a 6 euro in un supermercato di Miami, ma molto al di sotto della tua fama.
Come diceva un personaggio di non so quale storia: “Scusa se ti dico queste cose, ma non te le direi se non ti amassi.” E’ valsa comunque la pena leggere il tuo romanzo, perché dice cose interessanti anche se le dice male. Forse è pur sempre preferibile una bella idea enunciata da un balbuziente piuttosto che una pessima idea proclamata da un retore. Ma il lettore esigente che è in me sentiva il bisogno di sfogarsi, e le esagerazioni del suo sfogo sono dovute al troppo amore per la letteratura. Spero che non te la prenderai troppo, ci sentiamo quando leggo il tuo prossimo romanzo.



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