giovedì 21 giugno 2007

Tremendi sotto il cielo

L’articolo che state per leggere è stato scritto dal critico cinematografico Aldo Fittante ed è apparso qualche tempo fa su FilmTv. Siccome molti di voi non comprano FilmTv (Padre perdonali, perché non sanno quello che si perdono!) ve lo faccio leggere qui. Buona lettura.

Più che un fantasma è un incubo che si aggira per la nostra società malata, omologata, furba, devitaminizzata. Quest’incubo si chiama Adolescenti. Età variabile dai 12 ai 25 anni, e unico feticcio possibile: il telefonino. Il cantore di questa tremenda metastasi che ormai abbraccia quasi tutti i figli dei figli dei figli dei fiori si chiama Federico Moccia, classe 1963, romano, sceneggiatore per il cinema (?) e «autore – riportiamo testualmente dal suo sito – di testi per grosse produzioni dell’area intrattenimento» (ora si capiscono molte cose). E’ diventato miliardario con tre libri (?): Tre metri sopra il cielo, Ho voglia di te e il recentissimo Scusa ma ti chiamo amore. I primi due sono diventati film (?): il primo, in sala, fu un flop ma si rifece in dvd diventando di culto; il secondo sta per uscire e ha come protagonista Riccardo Scamarcio, star di entrambi. La leggenda racconta che Tre metri sopra il cielo (per gli adepti TMSC) cominciò a circolare in alcune scuole di Roma sotto forma di ciclostilato. Ora: non abbiamo nessuna nostalgia dei ciclostilati degli anni della Contestazione, ma – come direbbe Totò – ogni limite ha una pazienza. Anche per le leggende metropolitane. Leggere questi romanzi (?), così come i blog applicati e le scritte sui muri dalle parti del Ponte Milvio, dove centinaia e centinaia di coppie hanno deturpato il paesaggio secolare agganciando altrettanti lucchetti ai pali della luce e buttando la chiave nel Tevere (il caso sta scatenando risse persino in Campidoglio, con la giunta veltroniana che giustamente non ne può più e la destra che cavalca “la protesta dei gggiovani”), assistere in definitiva a questo festival del sentimentalismo più retrivo e scontato, dove la poesia è assente perché la poesia è sentimento e nient’altro, mette i brividi, anzi: fa paura. Fa paura guardare una puntata di Amici di Maria De Filippi (la madre di tutti i mali) dove il pianto ha sostituito la capacità di intendere di volere e di valere e il gossip privato ha preso il sopravvento su un qualunque discorso attraversato dal senno. Fa paura andare al cinema e verificare gli esauriti delle sale dei multiplex dove proiettano Notte prima degli esami oggi, come già scritto da queste colonne un film di destra, qualunquista, becero, dove si assiste all’apologia del tradimento del maschio latino (un Panariello imperdonabile) e dove i ragazzi si divertono a gareggiare in cucinate. Sono diventati tutti scemi e il rincoglionimento ha contagiato il 90% di quella popolazione che, un giorno, dovrà sostituire le classi dirigenti, i professionisti, gli impiegati e gli operai di questo incredibile, malandato Belpaese. Tornado di lacrime, quintali di abbracci, il tifo calcistico usato come succedaneo a qualsiasi altra emozione, padri e madri messi nell’angolo, e orgogliosamente reattivi solo quando c’è da menare un professore che ha sequestrato il cellulare al loro povero, strafottente figliolo. Un dramma che, se vi dovesse capitare la sciagura di inciampare nell’imminente Lezioni di volo di Francesca Archibugi, aumenterebbe in maniera esponenziale. Perché il cuore del problema è il vuoto pneumatico, l’ignoranza, la totale mancanza di lucidità intellettuale di questi ragazzi di oggi, siano a destra o a sinistra, si chiamino Step o Gin o Pollo o Curry.

Aldo Fittante

Aggiungo una postilla personale riguardo al bieco fenomeno dei lucchetti che si sta diffondendo in tutta Italia. L’altro giorno ne ho trovato uno su una panchina pubblica di Palermo. Agganciato alla spalliera, impediva di appoggiare la schiena in quel punto. Sul catenaccio incriminato c’erano due nomi scritti col pennarello (non ricordo se fossero Giorgio e Nadia, Filippo e Cristina, Vattelappesca e Clementina, ma non importa). Il fatto è che io proprio non capisco il significato ultimo del gesto. Voglio dire, ci sono due bambocci quattordicenni che vogliono giurarsi il loro eterno ammmore con un gesto folle e definitivo (i poveretti ancora non sanno che l’amore si esprime giorno per giorno con piccoli gesti apparentemente insignificanti, ma non è colpa loro). E allora, sull’onda della Mocciamania scrivono i loro nomi su un catenaccio e poi lo appendono da qualche parte (ovviamente in un luogo pubblico). Il fatto è che non si rendono conto (o perché sono proprio rimbambiti o perché sono distratti) che il CATENACCIO, da che mondo è mondo, è simbolo di prigionia, schiavitù, chiusura. Sigillare il loro amore in un catenaccio equivale dunque a dire che l’amore è una prigione che schiavizza la persona amata e si chiude al mondo esterno. E’ terribile, ma è proprio il concetto d’amore che hanno questi ragazzi, dove la persona amata deve essere posseduta, e diventa una proprietà privata; dove bisogna sempre stare assieme e portarsi il compagno/a appresso, mano nella mano, come un cagnolino col guinzaglio; dove la coppia si chiude in una dimensione tutta sua che esclude completamente gli altri. Eccolo l’amore cantato al tempo dei mocciosi, due nomi buttati in una prigione chiusa da una catenaccio. Qualcuno di buona volontà dovrebbe recuperare le chiavi buttate e aprire i lucchetti liberando questi poveretti dalla loro schiavitù.

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