lunedì 15 gennaio 2007

Anime danzanti

Vienna. Teatro di Porta Corinzia. 7 maggio 1824.

Entro in punta di piedi. Mi faccio strada lentamente, e i miei passi smuovono l’aria attraversata dal mormorio della gente. Saluto i signori, bacio le mani delle dame, m’inchino. Abiti lussuosi e luccichii, il teatro è vestito a festa.
Trovo il mio posto in platea. Misuro la distanza che mi separa dal palco, le cui sedie vuote saranno riempite dai musicisti tra meno di trenta minuti.
L’attesa cresce, si può quasi toccare con mano. Guardo le persone sedute accanto a me, e quelle lontane, e penso a quelle che non riesco a vedere. Siamo pochi viennesi baciati dal privilegio di essere qui. Qui e ora. Ora e qui. Nessun altro posto della Terra è preferibile a questo, perché tra poco verrà eseguita per la prima volta la nuova opera del maestro, la nona sinfonia di Ludwig van Beethoven.
Noi saremo i primi esseri umani ad ascoltarla, nessuno prima o dopo di noi (fuorché i musicisti e il maestro stesso) hanno avuto o avranno questo immenso onore. Noi terremo a battesimo la Nona. Noi saremo gli angeli della musica che accompagneranno la nuova creazione nel percorso faticoso dei secoli a venire. Ciò che ci accingiamo ad ascoltare è adesso a noi sconosciuto, ma tra qualche ora apparterrà alla nostra anima. Per sempre.


Palermo. Teatro Politeama Garibaldi. 14 gennaio 2007

Il primo movimento del direttore d’orchestra, quel bacio dato dalla sua bacchetta all’aria… è come se avesse toccato un punto preciso dell’aria, innescando la musica, che soave e magnifica scaturisce ora dagli strumenti dell’orchestra. Mi sembra quasi di vederla, la musica, di vedere un fluido privo di colore e di forma, senza odore né sostanza. Mi sembra quasi di vederla volteggiare nell’aria, formando fiumi eterei che si intrecciano come stelle filanti e si avvicinano a noi. Mi sembra quasi di toccarla, ma posso solo sfiorarne la superficie, accarezzarne l’estremità.
E poi guardo il direttore d’orchestra, e guardo i musicisti. E accade qualcosa di straordinario. Accade che le loro anime, ad una ad una, escono dai loro corpi in forma di fantasmi. E salgono su, ormai liberate dalla forza di gravità. Salgono sulle nostre teste, e iniziano a danzare. Danzano accanto al loggione, danzano sospese sulla platea, danzano e si abbracciano tra loro, si scompongono in atomi invisibili per poi ricongiungersi in forme sempre nuove. E mentre i loro corpi sono lì, mani tremanti sui violini, a dar vita alla nona sinfonia, loro s’arrestano per un istante eterno.
In piedi, nel punto più alto e remoto del teatro, hanno visto l’ombra di una figura conosciuta. Hanno visto l’ombra del maestro, hanno visto l’ombra di Beethoven. Se ne sta lì, a contemplare la sua opera, ad ascoltare ad occhi chiusi. Quando compose la Nona era ormai quasi completamente sordo. Alla prima esecuzione viennese si accorse del successo solo quando il soprano gli indicò la folla plaudente che lo acclamava. Solo dopo che lasciò il suo corpo poté ascoltare con precisione perfetta la sua ultima creatura. E da allora vola da teatro a teatro, da città a città, da continente a continente per benedire l’esecuzione della sua sinfonia. Ed ad ogni occasione è come se l’ascoltasse per la prima volta.
Le anime danzanti dei musicisti l’hanno visto, e invitandolo a seguirle riprendono ora a danzare. E ad ogni tocco di violino cambiano colore, e ad ogni colpo di trombone mutano aspetto, e quando il tenore intona il suo Inno alla gioia anche la sua anima si aggiunge alle sue sorelle, e insieme avvolgono il teatro di incantevole armonia. Finché anche la mia anima, come richiamata da un voce arcana cui non può resistere, lascia il mio corpo per un istante, e si unisce alla danza di gioia.
E io piango, perché il mio cuore è stato ridesto.
Piango, perché ho appena toccato Dio.

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